I questionari di D’Avanzo  e il “fine vita”

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I questionari di D’Avanzo e il “fine vita”

26 Giugno 2009

Sulla nuova puntata del feuilleton a firma Giuseppe D’Avanzo ormai periodicamente allegato al quotidiano "la Repubblica" si potrebbero dire tante cose.

Si potrebbero rilevare grossolane imprecisioni, ad esempio, come quella secondo la quale Silvio Berlusconi avrebbe corrotto David Mills per scampare a una condanna, quando invece nel processo All Iberian fu proprio la deposizione del teste d’accusa Mills – che il Cav è accusato d’aver corrotto – a contribuire alla sua condanna in primo grado, seguita da assoluzione nelle successive fasi del giudizio. Oppure si potrebbe ironizzare sulle contraddizioni di largo Fochetti, per cui a D’Avanzo non bastano due pagine per passare al setaccio le dichiarazioni del premier mentre a Gabriella De Matteis e Giuliano Foschini, cronisti di giudiziaria in quel di Bari, sono sufficienti sei righe per dire che "le ultime acquisizioni avrebbero finito per coinvolgere anche alcuni politici locali, nomi di spicco della giunta regionale del Pd" (la cui identità ai lettori di Repubblica non è dato sapere) "ma gli interessati smentiscono categoricamente" e tanto basta.

Ma preferiamo parlar d’altro, e vista la nuova passione di D’Avanzo per i questionari lo seguiamo sul suo genere e gli rivolgiamo una domanda ispirandoci proprio alla sua odierna articolessa. Dunque: che c’azzecca il triangolo Casoria – Palazzo Grazioli – Villa Certosa con la procreazione e il testamento biologico? Il decano dei segugi di Rep muove infatti la seguente imputazione al Cavaliere: "invoca per sé la privacy ma vuole scrivere le norme della nostra privacy, dalla procreazione al ‘fine vita’".

Lo sgangherato parallelo esige qualche chiarimento di fondo. Se non altro per dire che non v’è nulla che sposi con più naturalezza la difesa della sfera personale dei cittadini quanto la linea del centrodestra sull’inizio e sulla fine della vita. Non c’è nulla di più coerente che difendere la privacy delle persone e impedire che lo Stato si intrometta nel confine tra la vita e la morte fino al punto di vietare per legge ai malati incapaci d’intendere e di volere di poter usufruire di eventuali nuove cure a loro favorevoli che i malati stessi anni prima, al momento di redigere le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento, non potevano naturalmente conoscere. Non c’è nulla di più coerente che difendere la privacy delle persone e salvaguardare un nascituro dal rischio della selezione genetica ad opera di chi ritiene ad esempio che l’esistenza di un malformato non sia degna di essere vissuta. Infine, per amore di precisione, le evocate "norme sul fine vita" non le ha volute scrivere Berlusconi, né è stato il Cavaliere a bussare a un tribunale affinché con il pretesto dell’assenza di una legge specifica si introducesse per sentenza nel nostro ordinamento il diritto a morire per fame e per sete.

Tutto questo con Noemi, con Patrizia e con le feste di Tarantini non c’entra un fico secco. Ma tanto vale mettere i puntini sulle "i", perché se questo è il metro d’analisi di Giuseppe D’Avanzo, stiamo davvero freschi.