I quindici minuti di comizio di Prodi per ricominciare
22 Gennaio 2008
Un discorso di quindici minuti per rivendicare il lavoro
svolto e per confermare il patto di legislatura. Romano Prodi così oggi ha
aperto ufficialmente la crisi di governo anche se i prossimi passi
sono tutti da decifrare.
Per ora il presidente del Consiglio si è
presentato alla Camera dove domani intorno alle 17 si terrà il voto di fiducia per
poi passare giovedì al Senato. Qui certamente la partita sarà molto più
difficile anche se con l’intervento dei senatori a vita il professore potrebbe
farcela.
Quello che è certo è che almeno per ora Prodi non pensa di
recarsi al Quirinale e nemmeno di rimettere il mandato. La sua strategia,
fissata nella notte nel vertice dei segretari di maggioranza, prevede la parlamentarizzazione
della crisi, così da guadagnare qualche giorno di tempo per serrare le fila e
recuperare alcuni scontenti. Mossa che finora gli è riuscita anche se è
evidente che il problema adesso non è semplicemente numerico ma politico:
una parte della coalizione se ne è andata. Questione non trascurabile come ieri
sera lo stesso Mastella aveva ribadito dalla poltrona di Porta a Porta. Ma
Prodi tira comunque dritto.
E così nel suo intervento il Presidente del Consiglio ha chiarito che “in uno
Stato di diritto non sono le agenzie di stampa e i dibattiti televisivi che
determinato il destino di un governo” ma “è necessario che siano i deputati ad
assumersi limpidamente le loro responsabilità”. Parole che vanno dritte
verso Clemente Mastella a cui però il premier ha voluto dedicare la parte
iniziale del suo intervento per precisare che “non è stato lasciato solo” dopo
le sue vicende giudiziarie e ringraziarlo “per il lavoro svolto come ministro
della Giustizia”.
Un intervento battagliero e tutt’altro che di commiato quello
del professore che proprio Gianfranco Fini a caldo ha subito voluto bollare
come “un comizio” tanto che Prodi “si sente il candidato del centrosinistra
alle prossime, imminenti, elezioni. Infatti, visto che ha rivendicato quello
che a suo avviso il governo ha fatto e che al Senato non ha i numeri, significa
che ha aperto la campagna elettorale. Il suo non era il discorso di chi getta
la spugna”.
E non a caso Prodi ha ribadito nel suo intervento che “il governo
si era ripromesso di durare l’intero arco della legislatura. E’ nato sulla base
di un programma elettorale firmato e condiviso da tutti i partiti sulla base di
un mandato di governo di 5 anni”.
Nessuna intenzione, quindi, di farsi da parte
ma anzi la piena volontà di “rivendicare con orgoglio l’azione di governo” e di
continuare. Passaggi che hanno innescato più volte la reazione dura
dell’opposizione che dai propri banchi ha vivacemente contestato il premier,
soprattutto quando è passato ad elencare i successi della sua politica.
Da
quella estera, “questo è un governo che ha saputo rimettere in piedi il
Paese, un governo che ha riconquistato la
fiducia in Europa, che ha restituito all’Italia il ruolo che le spetta nel
contesto internazionale, che ha saputo chiudere senza sbavature l’avventura in
Iraq, che ha operato nel mondo per la pace”, a quella economica. Qui il
riferimento all’azione di governo “che ha cominciato a far pagare le tasse a
chi non lo faceva, che ha combattuto la precarietà, che ha investito sui
giovani”.
E Prodi non ha risparmiato nemmeno l’emergenza rifiuti mettendola tra
i fiori all’occhiello della sua stagione di governo: “Anche di fronte ad alcune
emergenze, come quella dei rifiuti, non ha addossato le colpe ad altri ma si è
rimboccato le maniche per affrontare il problema”.
Adesso però si apre la fase
più delicata. L’Udeur con il capogruppo alla Camera Fabris ha già fatto sapere
che sia a Montecitorio che a Palazzo Madama il partito voterà “no alla fiducia,
non vedo perchè dovremmo differenziare il nostro voto”.
E sull’ipotesi di un
governo istituzionale è lapidario: “Per fare cosa? Non c’è uno straccio d’accordo
con nulla, nemmeno sulla legge elettorale, quindi che lo facciamo a fare”. Quindi
elezioni subito come rilancia anche Silvio Berlusconi che ipotizza “il voto in
primavera” con la lista del Partito della libertà “insieme agli alleati che non
vorranno confluire”. Ex premier che non
lesina critiche a Prodi per “il fatto di voler portare alle Camere una crisi in
atto per farne una crisi parlamentare”.
Per lui “un formalismo inutile, a meno che non
nasconda qualche trappola e che si voglia una certificazione parlamentare per
prendere tempo e tentare il recupero di qualche voto al Senato”. L’ipotesi di
una trappola però per Fini “è impossibile. Ormai mi sembra sia tutto già
scritto: ci sarà la crisi e poi le consultazioni”. E su un futuro governo
istituzionale fa venire meno il suo appoggio: “Non ci sono i margini. Ora, dopo
la caduta del governo, la cosa da fare è andare da Napolitano e chiedere che si
vada al voto”. Prospettiva elettorale che Fini vede con la CdL unita e
Berlusconi candidato premier.
Più tiepido Casini che pensa ancora ad esecutivi
di solidarietà nazionale e sull’ipotesi del Cavaliere candidato premier
risponde con un laconico: “Ne parleremo”.
Intanto nel centrosinistra la bagarre
continua. Di Pietro ha annunciato azioni legali contro Mastella e Fabris mentre
sia Diliberto che Pecoraro Scanio vedono il voto dopo un’eventuale crisi del
governo attuale. Stessa posizione del ministro Ferrero che esclude ipotesi di
governi istituzionali. Al Senato intanto iniziano i primi contatti e
trattative. Per un Turigliatto che ribadisce il suo no al governo ci sono Bordon
e Manzione orientati per il sì alla fiducia. Ma a fare di nuovo da ago della
bilancia potrebbero essere i senatori a vita con la Montalcini che spiega: “Anche
in questo momento ribadisco il mio ostinato ottimismo. Ho fiducia nel presidente
e sono convinta che i valori prevarranno”.
Più defilati infine i diniani che
osservano i vari movimenti, in attesa di capire quali saranno i numeri. Anche
se ormai è evidente che senza Udeur la maggioranza al Senato non è più
autosufficiente. Lo sa bene Prodi che però spera di scamparla di nuovo. Ma
stavolta sarà più dura delle altre volte.