Un terzo dei bambini nati in Germania cresce in famiglie di immigrati. Molti di coloro che in futuro si esprimeranno sulle sorti del Paese, oggi sono mal integrati. Uno studio mostra come siano in particolare i turchi a rientrare nel novero dei ‘perdenti’.
Il recente studio demoscopico ha espresso una dura sentenza di condanna verso l’integrazione degli immigrati in Germania, concludendo che un’allarmante percentuale di costoro vive in un mondo parallelo con poche prospettive di ricevere un’istruzione adeguata e di fare carriera. Lo studio, presentato qualche settima fa a Berlino presso l’Istituto per la popolazione e lo sviluppo, è basato su rilevazioni statistiche annuali effettuate sulla popolazione e sottolinea come in particolar modo i turchi – il secondo gruppo di immigrati più numeroso dopo quelli di origine tedesca provenienti dall’Europa dell’Est e dall’ex Unione Sovietica – non se la passino bene, anche se ormai vivono da decenni in Germania.
Lo studio mostra come gli stranieri che si trasferiscono in Germania rimangano tali per sempre, in certi casi persino dopo cinquant’anni o tre generazioni. Talora vi sono problemi addirittura con chi ha già il passaporto tedesco. Si tratta di un trend inquietante per la Germania. Il paese ha bisogno di immigrati, perché i tedeschi non fanno abbastanza figli. La popolazione sta diminuendo e invecchiando e la produttività è a rischio. Se gli immigrati, che di solito hanno un tasso procreativo più elevato, ricevono un’educazione insufficiente e non riescono a trovare lavoro, finiscono per pesare sui conti dello Stato invece di contribuire a sostenerlo. Un altro studio, condotto dalla Fondazione Bertelsmann, stima che i fallimenti dell’immigrazione costino al paese sino a 16 miliardi di euro all’anno.
L’istituto berlinese ha basato il suo studio su una piattaforma demoscopica di 800.000 immigrati, circa l’1% della popolazione, ai quali sono state chieste informazioni circa la sistemazione, il lavoro, l’istruzione, il reddito e la nazionalità. Dal 2005 in avanti, gli è stato anche chiesto da quale paese provenissero i loro genitori. Ciò significa che per la prima volta è stato possibile identificare il trend di persone con un background di migranti che abbiano ottenuto la cittadinanza tedesca. Prima di quella data, non c’era modo di individuare chi fosse naturalizzato tedesco. Ora, gli immigrati provenienti dalla Turchia possono essere messi a confronto con coloro che vengono dall’Italia o dall’Africa e con gli immigrati di origine tedesca provenienti dall’Europa dell’Est. I ricercatori dell’Istituto berlinese hanno sviluppato un “indice per la misurazione dell’immigrazione” in grado di rilevare se ciascun gruppo si sia inserito bene o male nella società tedesca.
Diversi criteri sono stati utilizzati per la realizzazione dell’indice, dal livello di istruzione alle prospettive di lavoro, fino ad aspetti che consentono di comprendere quanto i tedeschi e gli immigrati stiano marciando gli uni verso gli altri, come per esempio il dato sui matrimoni misti. Lo studio ha altresì esaminato in che misura i comportamenti dei figli di immigrati differiscano da quelli dei genitori. Per la prima volta compaiono cifre da cui è possibile dedurre se l’integrazione stia effettivamente avendo luogo oppure no.
Tra tutti gli immigrati presenti in Germania, chi se la passa meglio sono quelli provenienti dall’Europa meridionale – dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Grecia e dall’Italia – ovvero quelli che hanno fatto parte della prima ondata dei cosiddetti “lavoratori ospiti” dopo la Seconda Guerra mondiale. I cosiddetti Aussiedler, ovvero gli immigrati di origine tedesca venuti dall’Europa dell’Est e dall’ex Unione Sovietica poco dopo il 1990, costituiscono la fetta più grossa dell’immigrazione e anche loro hanno raggiunto un buon punteggio. I loro figli sembrano approfittare del sistema educativo e la proporzione tra i residenti e la quantità di diplomi superiori è di gran lunga maggiore rispetto a quella relativa ai tedeschi.
I turchi, il secondo gruppo di immigrati più numeroso con circa 3 milioni di persone, sono invece ben poco integrati e rappresentano il fanalino di coda della classifica stilata dall’Istituto berlinese. Le differenze con i tedeschi sono estremamente profonde – i turchi sono mal istruiti, sottopagati e con un tasso molto basso di occupazione. E non fa molta differenza il fatto che si trovino in Germania da molto tempo. Se il tuo nome è Ümit invece di Hans o Gülcan invece di Greta, è assai difficile che tu riesca a salire in alto nella scala sociale.
Il 30 per cento degli immigrati turchi e dei loro figli non hanno un certificato di scuola superiore e solo il 14 per cento ha conseguito l’Abitur, il diploma di più alto livello in Germania. Si tratta della metà della media che riguarda la popolazione tedesca. E siccome gli immigrati sono soliti avere più figli dei tedeschi, il problema rischia di aggravarsi in futuro. Oggigiorno un terzo dei bambini nati in Germania è di origine straniera.
Ma per quale ragione gli stranieri rimangono tali in così tanti casi? E come mai ai turchi, persino a quelli nati in Germania, riesce così difficile integrarsi? Ci sono due aspetti da considerare nell’analisi del fenomeno migratorio. Idealmente, infatti, esiste una maggioranza che accoglie una minoranza, ovvero gli immigrati intenzionati a diventare parte della nuova madrepatria. Ma molti dei turchi che decenni fa sono arrivati in Germania in qualità di lavoratori ospiti non avevano la benché minima intenzione di entrare a far parte della società tedesca, volevano guadagnare dei soldi per poi tornarsene a casa di lì a qualche anno. Alla fine questo non è accaduto. I turchi sono rimasti, anche se i loro propositi non sono cambiati. Hanno formato dei ghetti e non hanno stabilito contatti con i tedeschi, complicando così l’esistenza ai propri figli, che ora non riescono a ritagliarsi uno spazio nella società teutonica.
Secondo una recente indagine, due terzi dei figli di immigrati non è ancora in grado di leggere con precisione e senza errori alla fine del quarto anno di scuola. La situazione è particolarmente preoccupante nelle grandi città con un alto numero di immigrati, come ad esempio Berlino, Amburgo e Brema. E la maggioranza? Qual è la responsabilità dei tedeschi nella cattiva integrazione dei turchi? “Abbiamo invitato i lavoratori ospiti credendo che ne sarebbero andati presto”, dice Reiner Klingholz, capo dell’Istituto berlinese. Ma l’istruzione è l’elemento fondamentale e la lingua è la chiave di volta, dice. “Per troppo tempo ci siamo abituati all’idea che nelle scuole elementari l’80 per cento dei bambini non sapesse parlare tedesco”, sostiene Klingholz.
Alcune recenti indagini internazionali hanno mostrato come i figli di famiglie con un background culturale molto modesto e capacità linguistiche limitate continuino ad avere scarse prospettive nel sistema educativo tedesco. “Per trenta o quarant’anni l’offerta formativa per i turchi è rimasta inadeguata”, sostiene Yasemin Karakasoglu, ricercatrice in politiche migratorie presso l’Università di Brema.
Il governo ha incominciato a pensarci dal 2000, anno in cui è stata modificata la legge sull’immigrazione e il momento a partire dal quale si sono periodicamente tenute riunioni con le associazioni che fanno capo agli immigrati. La richiesta chiave avanzata dagli immigrati extracomunitari è la doppia cittadinanza. Mentre i cittadini europei e gli svizzeri che vivono in Germania non hanno problemi di sorta nell’ottenere due passaporti, questo è molto più difficile per i figli di immigrati extracomunitari, che tra i 18 e i 23 anni devono decidere a quale nazionalità vogliono appartenere. Il capo della comunità turca in Germania, Kenan Kolat, asserisce che gli immigrati turchi dovrebbero avere la possibilità di scegliere in maniera permanente per la doppia cittadinanza: “Se i turchi di seconda generazione avessero il diritto di possedere la doppia cittadinanza, ciò sarebbe di grande aiuto nella promozione dell’integrazione – dice Kolat – e non si troverebbero nelle condizioni di essere forzati a decidere pro o contro la Germania”.
Il Ministro degli interni Wolfgang Schäuble (CDU) gli risponde così: “L’integrazione richiede anche che le persone facciano delle scelte. Gli immigrati devono volersi integrare”. I turchi nati in Germania possono diventare tedeschi se lo desiderano, dice Schäuble. Tuttavia, vi sono molti fattori che possono influenzare questa scelta. La xenofobia, ad esempio. Un sondaggio dell’istituto demoscopico Allensbach ha rivelato come più del 50 per cento dei tedeschi continui a pensare che il paese abbia troppi immigrati. D’altra parte, è lecito chiedersi in che misura questo modo di ragionare sia il prodotto della tendenza turca a isolarsi nei quartieri delle grandi città della Germania. Reiner Klingholz sostiene che dagli immigrati e dai loro figli ci si aspetterebbe un sforzo in più quando si tratta di provvedere alla propria istruzione o di parlare tedesco o di accettare l’ordinamento giuridico tedesco e le sue tradizioni culturali: “Non possiamo più permettere che qualcuno rifiuti di prendere parte alle lezioni di educazione fisica per motivi di natura religiosa” spiega.
Un’indagine del 2006 condotta dal Centro per gli studi turchi di Essen rivela che l’83 per cento dei musulmani di origini turche si descrive come osservante o molto osservante. “La religiosità è in forte crescita”, hanno scritto gli autori dello studio. Che cosa significa tutto ciò per l’integrazione? E’ forse l’Islam, il credo cui aderisce la gran parte dei turchi che vivono in Germania, l’intoppo che più di ogni altro ostacola gli immigrati nel trovare la propria strada all’interno della società tedesca?
Serap Cileli, vittima di un matrimonio combinato, considera che “la religione giochi un ruolo importantissimo nel fallimento dell’integrazione dei turchi”. Da più di dieci anni Serap aiuta le donne musulmane che sono state vittime di violenze in famiglia. “Ogni giorni vedo ragazze e donne musulmane che soffrono e, chiuse come sono nel loro mondo turco ultraconservatore, non hanno mai avuto alcuna possibilità di aprirsi un varco nella società tedesca”, dice.
Uno studio commissionato dal Ministero della Famiglia tedesco nel 2004 ha mostrato come vi sia un tasso davvero elevatissimo di donne turche che subiscono maltrattamenti in famiglia. I matrimoni combinati sono un’altra parte del discorso. Un quarto delle donne turche, rispondendo ai quesiti del sondaggio, ha detto di aver incontrato la prima volta il proprio marito soltanto il giorno del matrimonio, mentre il 9 per cento ha rivelato di essere stata costretta a sposarsi.
Dal momento che l’Islam esprime un tipo di struttura sociale di natura patriarcale, all’interno della quale l’uomo fa derivare dal Corano il proprio diritto a disporre della donna, i critici dell’Islam individuano nella religione la vera fonte del problema. Le donne, a loro volta sottomesse al Corano, si vedono perciò costrette a tollerare indicibili sofferenze. Bassam Tibi, cofondatore dell’Arabian Organization for Human Rights, sostiene che, se queste sono le condizioni di partenza, è davvero impossibile per gli immigrati musulmani integrarsi sul serio. “L’assenza di democrazia rende possibile la sottomissione della donna”, dice.
Ursula Günther, docente di religione all’Università di Amburgo, mette in guardia dai luoghi comuni. “La stragrande maggioranza dei tedeschi vive con la falsa rappresentazione che tutti gli immigrati turchi siano musulmani ortodossi”. In realtà la maggior parte dei turchi credenti non ascolta le parole degli imam. E in effetti, la stessa comunità turca di Germania è molto variegata al suo interno. Alcuni si dicono favorevoli a che le donne indossino il caratteristico “foulard”, altri non hanno pregiudizi per relazioni di tipo multiculturale. Reiner Klingholz sostiene sia impossibile misurare l’effettivo impatto che l’Islam ha sull’immigrazione, ma non crede che esso rappresenti un ostacolo insuperabile: “Cinquant’anni fa in Germania nessuno avrebbe pensato che un cattolico potesse sposare un protestante, oggigiorno invece non è più argomento di discussione”, dice.
Lentamente, molto lentamente, le cose stanno cambiando. La percentuale di ragazze turche che frequentano il liceo sta progressivamente aumentando e ha ormai superato quella dei maschi. Gli standard di istruzione della seconda generazione di immigrati turchi stanno anch’essi migliorando, almeno se messi a confronto con quelli dei loro genitori. E gli immigrati turchi guardano sempre più alla Germania come al proprio paese. “Fino al 1990 due terzi dei turchi volevano tornarsene a casa – dice Yasemin Karakasoglu – ma oggi le antiche abitudini sono mutate. Un numero sempre crescente di turchi desidera rimanere qui in Germania per sempre”.
Traduzione di Giovanni Boggero
Tratto da Spiegel Online