I Repubblicani si chiedono qual è l’eredità di Cheney
22 Maggio 2009
Una decina di giorni fa Obama aveva preso in giro l’ex vicepresidente Cheney, assente al galà organizzato dalla Casa Bianca per la stampa accreditata: “Non vedo Dick Cheney. Deve essere impegnato a scrivere le sue memorie. Si intitoleranno ‘Come sparare a un amico e torturare i nemici’”. La battuta di Obama veniva dopo il ben più serio tentativo di chiedere l’impeachment dell’ex vicepresidente, bocciato lo scorso gennaio dal Congresso.
Cheney non è tipo da farsela sotto. Ieri era all’American Enterprise Institute a ribattere, colpo su colpo, alle dichiarazioni di Obama su Guantanamo. Titolo del seminario: “Keeping America Safe”, mantenere l’America al sicuro. La stampa liberal lo descrive come una specie di Darth Vader ma la vera questione è se l’ex uomo forte dell’amministrazione Bush sia ancora una risorsa per i repubblicani o se questi farebbe meglio a scaricarlo. D’altra parte, con il Congresso che gli rema contro, democratici compresi, Obama si sta rendendo conto di non poter mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. Né si può fare facilmente terra bruciata attorno ad una delle figure chiave della presidenza Bush.
Quando Obama decise di rendere pubblici i memo del Dipartimento di Giustizia sulle “torture” ai nemici combattenti, Cheney definì apertamente la misura “inappropriata”. E’ tornato recentemente in tv alla CBS per rincarare la dose e dire agli americani che con questa amministrazione la loro sicurezza potrebbe essere in pericolo. Mentre durante l’era Bush il vicepresidente veniva accusato di essere l’eminenza grigia dell’amministrazione, sempre dietro le quinte – insomma, di non metterci la faccia – ora sembra aver ripreso vita in tv e sui giornali. La domanda è se questa sovraesposizione mediatica convenga o meno al suo partito.
Michael Steele, il chairman del Republican National Committee, per esempio, s’è rifiutato di discutere con “Dick” sui temi affrontati durante l’intervista alla CBS. Secondo John Baick, professore emerito di storia al Western New England College, “Cheney non sta mostrando lo stesso livello di autocontrollo e disciplina che ha esercitato negli ultimi 40 anni, credo che si stia sentendo ferito e tradito”. L’impressione è che non sopporti il giudizio poco lusinghiero con cui passerà alla Storia.
Irving Kristol la pensa diversamente. Cheney è esattamente il tipo d’uomo di cui hanno bisogno i repubblicani dopo la sconfitta elettorale. Uno che non si arrende mai e che attacca anche quando dovrebbe pensare a difendersi. Quel genere di persone che vanno ringraziate per aver tenuto la rotta dopo l’11 Settembre. Attualmente ci troviamo in una situazione in cui lo speaker democratico della Camera, Nancy Pelosi, assedia il capo della Cia in cerca di informazioni sui “terribili metodi” che hanno appannato il buon nome degli Usa. Ma i democratici hanno preso le distanze dalla Pelosi e Obama deve destreggiarsi fra le rassicurazioni ai liberal (abbiamo chiuso Guantanamo) e la decisione di continuare a usare le “military commissions” per giudicare nemici e terroristi (siamo ancora in guerra).
Se dunque è improbabile che assisteremo a una riabilitazione di Cheney, il Gop dovrebbe pensarci due volte prima di scaricare il vecchio stallone in cerca di nuovi puledri che fino adesso scalpitano senza bucare lo schermo. Alle elezioni del 2012 potrebbe essere conveniente ricordare cosa fecero i repubblicani per difendere gli Stati Uniti da un nemico mortale che non è ancora stato sconfitto.
“Credo che le politiche di Bush siano servite a salvare molte vite americane – ha detto Cheney – e che adesso l’attuale amministrazione sta cercando di cancellarle. Ma se fosse così significherebbe che l’America non avrebbe la stessa sicurezza che ha vissuto negli ultimi anni”. L’assalto alla diligenza democratica condotto in solitaria da Cheney può infastidire i repubblicani centristi – quelli che sono passati con i democratici o sono ammaliati da Obama (da Specter a Powell) – ma può ricompattare il fronte conservatore e ultraconservatore. “Be’, se dovessi scegliere in termini di cosa vuol dire essere repubblicani – ha detto Cheney – penso che starei dalla parte di Rush Limbaugh”.
Il 55 per cento degli americani continua a pensare che Cheney abbia commesso troppi errori ma il 37 per cento di loro si è ricreduto o ha comunque un giudizio positivo sull’ex vicepresidente. 8 punti in più da quando i repubblicani lasciarono la Casa Bianca. Tutti sanno chi è Dick Cheney e a quanto pare il suo atteggiamento in tv, calmo, articolato, coraggioso, sta pagando in termini di consenso. Come ha scritto “Politico”, i Repubblicani si definiscono il Daddy Party: siamo noi che difendiamo il Paese dai comunisti, dai terroristi e da chi vorrebbe vietare agli americani di avere una pistola in casa. I Democratici invece sono il Mommy Party e preferiscono i programmi contro la povertà alle spese per la Difesa. Cheney offre una chiara scelta di campo.