I rischi che si corrono a far diventare l’europeismo un’ideologia
24 Gennaio 2008
di Mario Mauro
Notevole spazio è stato dedicato
dai quotidiani alla sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo
ha condannato la Francia, in quanto una persona omosessuale sarebbe stata
discriminata sulla base delle proprie scelte in campo sessuale e, pertanto, non
avrebbe potuto presentare una domanda d’adozione di un minore.
La sentenza suscita molte
perplessità. E’ vero, infatti, che in Francia, a differenza dell’Italia, i single sono ammessi ad adottare, fattore
che – sia detto per inciso – rende irrilevante per il nostro ordinamento la
decisione dei giudici di Strasburgo. Tuttavia, in numerosi atti citati nella
decisione, le competenti autorità francesi, tra le quali anche alcuni psicologi,
non avevano ritenuto un fattore decisivo la tendenza sessuale della richiedente
e avevano scartato la richiesta per altre ragioni.
La Corte europea dei
diritti dell’uomo non solo non ha considerato adeguatamente l’opera compiuta
dalle autorità francesi, ma ha dato vita a una sorta di “processo alle
intenzioni” per sostenere il contrario e cercare di provare che la scelta
omosessuale della richiedente era stata invece decisiva.
La sentenza della Corte
induce ad alcune considerazioni, da un lato, in relazione all’istituto
dell’adozione e, dall’altro, in ordine alla funzioni delle Corti e, più in
generale, al ruolo delle Istituzioni internazionali nel mondo occidentale.
Quanto al primo aspetto,
la natura delle cose e l’elementare esperienza di ogni uomo e di ogni donna
dimostrano che per una crescita equilibrata è indispensabile e infungibile una
famiglia, intendendosi per quest’ultima, secondo una tradizione giuridica
pre-cristiana e bimillenaria, l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio.
Per annullare il regime preferenziale di cui la famiglia gode non si può ricorrere
a un’assurda ricostruzione del principio di non discriminazione, in forza della
quale esso imporrebbe di trattare in maniera eguale situazioni differenti quali
la famiglia, le convivenze more uxorio
e quelle omosessuali. Il principio di eguaglianza è rispettato, infatti,
soltanto quando situazioni eguali sono trattate in modo eguale e fattispecie
diverse, come nel caso in esame, sono disciplinate in modo diverso.
Sono sconcertanti i
passaggi della sentenza della Corte europea in cui si mette in dubbio questa
elementare verità, finanche ammessa dalla stessa richiedente, che ha affermato,
come risulta dagli atti richiamati nella sentenza, che “non sarebbe voluta
crescere con un solo genitore”.
Quanto al secondo
aspetto, è innegabile che i consessi giurisdizionali stiano acquisendo un ruolo
sempre più significativo, che qualche volta finisce per usurpare le prerogative
del potere politico.
Questa tendenza appare
ancora più significativa in riferimento ai Tribunali e, più in generale, alle
Istituzioni internazionali. Di qui il rischio concreto dell’affermarsi di un
“federalismo al contrario” e cioè, per riprendere la lucida analisi di Joseph
Weiler, di un sistema di potere centralistico, che si pone in contrasto con il regime
democratico degli Stati nazionali. Contro questa tendenza si rende necessaria
una vigilanza continua, che faccia leva su un rigoroso rispetto delle
competenze e dei limiti delle Istituzioni internazionali, e preservi il potere
di scelta delle Assemblee politiche degli Stati nazionali, nel rispetto dei
diritti inviolabili della persona.