I romani a Esposito: attaccati al tram!

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I romani a Esposito: attaccati al tram!

04 Settembre 2015

di Ronin

«Andavo in trasferta a vedere la Juve, tante volte ho gridato ‘Roma merda’. Non ricordo più nemmeno quante. Ho fatto anche qualche trasferta a Roma da ultrà». Così il neo assessore ai trasporti di Roma, Stefano Esposito, ai microfondi della Zanzara, con tanto di coretto irripetibile da stadio.

 

Un’uscita infelice, quella del senatore piddino chiamato al capezzale di ATAC, l’azienda pubblica di trasporti della Capitale, che ha generato un’ondata di risentimento fra i tifosi romanisti sul web o semplicemente giù al bar. Ma se mai i tifosi della Lupa perdoneranno a Esposito le intemperanze da ultrà, i cittadini romani non possono perdonargli un’altra dichiarazione – ben più grave visto il ruolo che ricopre l’assessore – fatta alla Zanzara. «Non so dove va il 64. Io ho in mente il 106, il 64 non lo so».

 

Il 64, per chi, come Esposito, che è piemontese, e per chiunque altro ignori la situazione degli sgaruppati trasporti capitolini, è la linea storica che da Termini porta in Vaticano. Una bolgia dantesca dove il conducente si premura di avvertire i viaggiatori sul costante rischio borseggio, come potrà confermare chiunque abbia avuto la sventura di salirci, turisti e tutti quelli che prendono abitualmente questa corsa.

 

Ecco qual è il vero guaio di Esposito. Altro che canzoncine juventine. Il grande amministratore catapultato a Roma, nemico giurato dei No Tav e che sogna l’Atac ad Alta Velocità, in realtà non conosce neanche per sentito dire la Capitale, non sa nulla dei costanti disservizi dei trasporti e della microcriminalità che i romani devono sopportare nella loro vita quotidiana. Tanto che viene da dire, caro Esposito, se non sai niente del 64 allora attaccati al tram!

 

E’ vero, un po’ tutte le aziende pubbliche dei trasporti versano in condizioni difficili. Ma tutti sappiamo che vuol dire Atac per Roma, dopo le parentopoli denunciate negli anni scorsi, le inefficienze e le linee iperaffollate, lo sprofondo rosso generato dai costi incontenibili che hanno portato al “fallimento tecnico” dell’azienda capitolina.

 

Per cui, adesso che Ignazio Marino è tornato dalle vacanze, veniamo al dunque. L’Occidentale rilancia la proposta fatta il 26 luglio scorso sulla rivista Libertates da Angelo Gazzaniga: si abbia il coraggio di portare i libri contabili di ATAC in tribunale, di far fallire l’azienda.

 

“A questo punto la strada dovrebbe essere segnata,” scrive Cazzaniga, “in ogni Paese civile in questo caso si portano i libri in tribunale, si dichiara fallimento e si ricomincia da capo: si indice (come previsto da dieci anni da una normativa UE) una gara per trovare il nuovo gestore e ripartire da zero”.

 

“Una via di chiarezza, trasparenza, efficienza e rispetto per gli utenti: ma c’è da scommettere che mai e poi mai il Comune di Roma seguirà questa strada”, aggiunge l’autore paventando i prossimi inghippi: “Già si parla di una ricapitalizzazione (cioè di denari gettati inutilmente in un pozzo senza fondo) da parte di un comune, quello di Roma, che non ha più un euro in cassa: come fare allora? Semplicissimo: una legge per il Giubileo straordinario che stanzia fondi statali (che andranno in parte a sanare il debito dell’Atac). Il solito Pantalone (noi cittadini) che paga le inefficienze (!) degli altri”.

 

La conclusione: “Un fallimento eviterebbe tutto questo, sarebbe rispettoso della legge, e dei principi della sana economia, garantirebbe trasparenza e chiarezza: ma poi che fine farebbero amici, parenti, amanti et similia di cui l’Atac è piena?”.