I senatori del Pdl rispediscono al “Foglio” le accuse di ribaltone

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I senatori del Pdl rispediscono al “Foglio” le accuse di ribaltone

05 Ottobre 2010

La fedeltà a Berlusconi non è in discussione, tantomeno al governo. Nessuna tentazione da ribaltone, governi tecnici o di transizione.  I tredici senatori del Pdl citati dal Il Foglio come  ‘irrequieti’ e quindi potenziali ‘voltagabbana’, pronti a sostenere un esecutivo diverso da quello uscito dalle urne e per volontà popolare due anni e mezzo fa, parlando all’Occidentale smentiscono senza riserve .

Nessuna attrazione fatale pure per maggioranze alternative, come invece il futurista Italo Bocchino ha vaticinato a proposito di legge elettorale, di fatto confermando che l’asse tra Bersani, Casini e Fini esiste eccome e, a suo dire, potrebbe interessare anche qualche parlamentare scontento del Pdl. Li abbiamo interpellati uno ad uno i tredici senatori ma non ci pare che il livello di irrequietezza sia tale da aprire la strada a ribaltoni. Semmai, quello che si coglie è un senso di disagio che si orienta non sul premier, sul governo o sul gruppo parlamentare di Palazzo Madama, quanto piuttosto sull’azione di rafforzamento del Pdl specialmente a livello territoriale, a maggior ragione ora che Fini ha fondato il suo partito e insieme ai fedelissimi lo sta dispiegando sul territorio.

I tredici senatori non ci stanno a farsi appiccicare l’etichetta di ‘ribaltonisti’. Il sottosegretario Carlo Giovanardi osserva: “Non sono fra quelli disponibili ad appoggiare un governo tecnico, ma sono uno di quelli che dice ‘attenzione, il rischio c’è’.  E questo perché vedo, parlo con i colleghi e capisco che ci sono coloro che questa disponibilità l’avrebbero”. Le ragioni di un certo malcontento rimandando all’ipotesi del voto anticipato e “alcuni senatori si interrogano su quale tipo di scenario potrebbe configurarsi ammesso che questa ipotesi fosse plausibile.Uno scenario magari con la Lega  magari con la Lega che vuole le elezioni… ed è chiaro che costoro non vogliono certo farsi trascinare al voto dal Carroccio. Piuttosto che l’incerto meglio conservare il certo, tanto più che i numeri della maggioranza ci sono e Berlusconi al Senato e alla Camera ne ha presi di più di quelli che già aveva.  A me il dibattito di questi tre giorni non solo pare surreale ma offensivo nei confronti del presidente Berlusconi che una manciata di giorni fa è andato a Montecitorio e Palazzo Madama a illustrare i punti programmatici dell’agenda di governo. E tre giorni dopo che succede? Siamo ancora qui a ipotizzare scenari? Perché? Cosa è successo nel frattempo?”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Carlo Sarro che dal ’94 ha “sempre seguito con convinzione il presidente Berlusconi. E’ a dir poco fantasiosa la notizia che mi indica come senatore ‘irrequieto’; sono culturalmente oltreché politicamente contrario ad ogni forma di ribaltone, maggioranze tecniche o pasticci simili. Sono convintamente nel Pdl, lavoro benissimo all’interno del gruppo senatoriale guidato da Gasparri e Quagliariello e soprattutto, oggi come ieri, condivido incondizionatamente l’azione politica del presidente Berlusconi".

Il senatore Cosimo Izzo cade dalle nuvole: “Non posso nemmeno immaginare quale sia stata la fonte. Se il Foglio non fosse organo di grande serietà, avrei pensato ad uno scherzo di carnevale fuori tempo. Sono vicepresidente del gruppo Pdl, ne sono onorato e orgoglioso e non prenderei mai una decisione in dissidio con il gruppo, con i capigruppo Gasparri e Quagliariello e, innanzi tutto, con il presidente Berlusconi”.

Anche Valerio Carrara insiste sul punto quando rileva che “trasformismi, ribaltoni e strane alchimie non avranno il mio consenso. Sono e resto convintamente nel PdL, fedele al presidente Berlusconi, al gruppo parlamentare al quale mi onoro di appartenere e al mandato che ho ricevuto dagli elettori”.

Gli fa eco Fedele Sanciu che considera “assurdo che per l’ennesima volta venga fatto il mio nome, essendo io coordinatore provinciale già di Forza Italia e oggi del Pdl, presidente della Provincia di Olbia-Tempio, roccaforte del Pdl in Sardegna, senatore nominato dal presidente Berlusconi. Essere additato come persona che farebbe parte di un gruppo che trama per modificare gli equilibri mi offende profondamente, anche perché sono noto per la mia lealtà e impegnato quotidianamente nel diffondere e radicare il progetto Pdl nel mio territorio e ai vari livelli. Pertanto prendo totalmente le distanze, lasciando perdere la politica dei politicanti e identificandomi con il progetto di rinnovamento, modernizzazione e bipolarismo del presidente Berlusconi”.

Non è ‘irrequieto’ nemmeno Giacomo Santini, tutt’altro: “Non solo io sono sereno, ma da sempre fedele al mio mandato parlamentare e al mio partito che rimane il PdL. Non appartiene nemmeno alla mia fantasia l’idea di poter votare o sostenere un governo diverso da quello guidato da Berlusconi. Non ho mai parlato con il giornalista che firma l’articolo, né ho mai dato modo insieme ai colleghi che vengono citati di immaginare una qualsiasi coalizione tra noi”. A manifestare un certo disagio, invece, è Piergiorgio Massidda ma non riguarda premier, governo o gruppo parlamentare, bensì la gestione del partito: “Non ho nascosto a un giornalista di agenzia che mi ha chiamato oggi il mio malessere nei confronti del partito. Ciononostante, non parteciperei mai a un governo di ribaltone contro il presidente Berlusconi".

Il senatore Vanni Lenna smentisce “categoricamente ogni allusione ad un mio ipotetico sostegno ad un governo tecnico. Rimango convinto del progetto politico del presidente Berlusconi, che ho sempre condiviso dai primi momenti della sua discesa in campo, considerando anche che per diversi anni ho svolto il ruolo di coordinatore regionale del Friuli Venezia Giulia di Forza Italia. Per questo continuerò il mio impegno politico e parlamentare all’interno del gruppo Pdl del Senato”. E pure il senatore argentino eletto nella circoscrizione estero Esteban Juan Caselli si tira fuori dalla lista dei ponteziali ‘ribaltonisti’: “Non sosterrò mai un esecutivo tecnico, ma sempre e solo il presidente Berlusconi, unico leader nel mondo. E se alcuni senatori stessero pensando a una possibilità del genere significa che in cambio chiedono qualcosa. Tuttavia escludo totalmente che il governo possa cadere; Berlusconi resterà alla guida dell’esecutivo essendo stato eletto dalla maggioranza degli italiani e dalla maggioranza degli elettori che vivono fuori dall’Italia”.

Enrico Musso non usa giri di parole: “Il Foglio mi annovera in un elenco di senatori definiti ‘nervosi’ e ‘irrequieti’ (e io personalmente anche ‘ribelle’) i quali sarebbero parte di ‘un’ipotesi di complotto’ collegabile, par di capire, a un accordo Fini-magistrati e agli attacchi dei ‘giornaloni’. Pur non sentendomi minimamente nervoso, vi riconosco la più ampia discrezionalità nella scelta degli aggettivi con cui descrivere alcune mie dissociazioni dagli orientamenti del Pdl. Debbo invece informarvi che collegare il mio nome a complotti, ribaltoni, accordi coi magistrati e con i grandi quotidiani è una colossale panzana”.

Massimo Baldini e Paolo Amato respingono con forza le illazioni al mittente ma per entrambi c’è da lavorare e molto, al consolidamento del Pdl. “L’unico dubbio che non ho è che sono nato con Berlusconi e intendo morire politicamente con Berlusconi” spiega Baldini che aggiunge: “Tuttavia sto vivendo un disagio ed è tutto rivolto alla conduzione del partito e alla formula del triumvirato che a mio giudizio va superata con la nomina di un coordinatore unico. Al Senato colgo questo disagio in tanti altri miei colleghi, ma non è un disagio nei confronti di Berlusconi bensì sul partito”. E alla domanda se ritiene verosimile il rischio che alcuni parlamentari pidiellini possano sostenere governi di transizione, chiosa cosi: “Non so dire. Se dovessi fare una previsione, penso sia un pericolo per le ragioni che ho detto”.

Il senatore Paolo Amato è netto quando dice di non approvare “ribaltoni” perché “abbiamo avuto un mandato dagli elettori e dobbiamo essere leali nei loro confronti e verso il presidente Berlusconi. Non mi piacciono neppure le liste dei ‘sospettati’ perchè ricordo al garantismo ideologico del Foglio che a dire che il sospetto è l’anticamera di tante altre cose è stato un gesuita che fu tra i più accesi giacobini della prima repubblica”. Il problema, semmai, sta “nel disagio di molti parlamentari, tra i quali il sottoscritto, per la gestione del partito. Al presidente Berlusconi chiedo di intervenire su questo aspetto”. Amato infine rileva una differenza sostanziale tra i parlamentari della maggioranza che oggi manifestano un certo malessere e la situazione creatasi durante il governo Prodi e che poi portò alla sua caduta. “Allora erano le contraddizioni, i limiti del governo che si riversavano sulla maggioranza; qui invece a mio avviso sono i limiti del partito che si riversano sulla maggioranza”.  

Ferruccio Saro è un sostenitore dell’intesa che il Pdl deve trovare con i finiani, condizione per “garantire stabilità. Ho già espresso il mio convincimento al presidente Berlusconi, anche perché sono convinto che gran parte di coloro che si riconoscono  nei gruppi finiani hanno posizioni moderate e non vogliono sfasciare tutto. Se questa strada non viene percorsa,   ho la sensazione che al di là dei nomi che sono circolati sul Foglio,  c’è un pericolo  e cioè che di fronte a una crisi di governo vi sia un’area di profondo malessere nel Pdl che potrebbe essere disponibile a sostenere un eventuale governo di transizione”. Sull’ipotesi avanzata da Bocchino secondo il quale in Parlamento si potrebbe creare una maggioranza trasversale per cambiare la legge elettorale con il sostegno anche di alcuni parlamentari Pdl, Saro è scettico: “Se rimane il governo Berlusconi credo che la legge elettorale non verrà toccata. Può diventare la motivazione di un eventuale governo di transizione ma se resta lo status quo, se si torna a riprendere un dialogo tra le forze di maggioranza non credo ci sarà all’ordine del giorno alcuna modifica del sistema di voto”.

Fin qui le posizioni in campo su una questione che da alcuni giorni tiene banco nei palazzi della politica.  Come il varo del partito di Fini, annunciato ieri dal quartier generale di FareFuturo. Un antipasto del menù che l’ex leader di An servirà alla convention di Perugia il 6 e 7 novembre. Per ora un vertice coi gruppi parlamentari e gli eurodeputati servito a fare il punto, a tirare giù una bozza di statuto e a mettere in moto la macchina organizzativa. Un partito aperto, inclusivo, plurale, con un tasso altissimo di democrazia interna, è stato il refrain dei fedelissimi di Fini sulle agenzie.

Ma a ben guardare il neonato soggetto politico non appare proprio in linea coi desiderata e gli annunci in pompa magna, indirettamente contrapposti al partito-azienda del Cav. Intanto non ci sarà alcun patto preliminare tra falchi e colombe finiane perché, è il ragionamento del presidente della Camera, “non ci saranno né gli uni né gli altri, in Futuro e Libertà non ci saranno soprattutto i colonnelli, tantomeno i soldati. La linea la detterò io”. Il virgolettato su Rep fa riflettere: ma come, l’ex capo di An ha rotto col Cav. perché il Pdl era un partito-caserma, un partito-azienda dove il capo decide e tutti dicono sì.

E adesso cosa fa? Ne fonda un altro dove a decidere non saranno altri al di fuori di lui? Una bella contraddizione per chi si vuol presentare come la modernità del futuro contro il conservatorismo del passato. Con buona pace di Bocchino che già studiava da leader in pectore di Fli, convinto dell’investitura che un giorno Fini gli avrebbe dato. Ma si sa, il futuro è difficile da prevedere. Anche per i finiani-futuristi.

Lucia Bigozzi