I sette punti di Dini mettono a dura prova Prodi e il suo governo
30 Dicembre 2007
Romano Prodi sceglie la via
dell’ironia, sia pure condita da un pizzico di amarezza. “Una verifica al
giorno non toglie i problemi di torno”. Ma quella sorta di manifesto in sette punti
redatto da Lamberto Dini – in pratica l’elenco delle condizioni da soddisfare per
la sua permanenza al governo – semina altra tempesta tanto dentro l’esecutivo
quanto dentro la maggioranza.
L’agenda diniana promuove una
sorta di svolta liberale per l’esecutivo “per frenare il declino dell’Italia e
riavviarla sulla strada dello sviluppo”. L’ex direttore generale della Banca
d’Italia chiede, innanzitutto, «una decisa azione per la riduzione della spesa pubblica».
Nel secondo punto propone «il ridimensionamento delle persone che vivono di
politica». Nel terzo «una riduzione del carico fiscale per i contribuenti,
secondo un percorso graduale ma annunciato in partenza». E ancora: «La rinuncia
alle centinaia di programmi inconcludenti nei quali vengono disperse le risorse
europee dei fondi strutturali, che lasciano il Meridione nella penosa
situazione in cui si trova». Al quinto punto
c’è la «realizzazione del sistema nazionale di valutazione dei risultati
scolastici, per legare ogni incremento reale delle retribuzioni degli
insegnanti a livello e dinamica della preparazione scolastica degli allievi». La
sesta richiesta prevede la «riduzione da 45 a 15 giorni della sospensione feriale dei
termini processuali» contro i ritardi della giustizia. Infine, al settimo
punto, Lamberto Dini, che redige la piattaforma programmatica insieme al
senatore Natale D’Amico sottolinea la necessità di un «ridimensionamento del
ruolo della politica nella gestione
della sanità pubblica».
Alla fine del “manifesto” il
leader dei Liberaldemocratici avverte: «Siamo pronti a sostenere un governo che
si impegni a realizzare questo programma minimo. Se sarà espressione
dell’attuale maggioranza, bene. Ma chiediamo una risposta chiara, senza
ambiguità, al più tardi al momento della verifica prevista per metà gennaio».
Altrimenti, non verrà rinnovata la fiducia. In ogni caso, aggiungono, «nel
frattempo occorrerà cambiare la legge
elettorale, per via parlamentare ovvero per via referendaria».
La reazione della sinistra
radicale è tonante. “Non accetteremo alcun diktat da Dini” dice Alfonso
Pecoraro Scanio. E tanto Rifondazione quando i Comunisti Italiani si preparano
ad alzare le barricate per frenare la “svolta a destra” richiesta dall’ex
ministro del governo Berlusconi. Più articolata la posizione dei prodiani che
definiscono le richieste di Dini «spunti» e «proposte» sui cui discutere, ma
avvertono: no a «minacce» dal sapore ultimativo, perché Romano Prodi resta il
garante della coalizione. E solo a lui, in quanto premier, spetterà, insieme ai
leader della maggioranza, indicare le priorità dell’agenda politica del 2008
per il rilancio della coalizione e
dell’azione di governo a gennaio. In ogni caso, dicono all’unisono i parlamentari
più vicini al Professore, le richieste dei diniani non possono stravolgere il
programma dell’Unione presentato agli elettori e sottoscritto nel 2006.
Un timore, in realtà, dimora
tra le fila dell’Unione: che le proposte dei liberaldemocratici siano in realtà
un pretesto a copertura di decisioni già prese. E così Franco Monaco
parlamentare del Pd e ulivista della prima ora detta le sue “controcondizioni”:
«Si tratta di spunti programmatici sui quali si può discutere ma a tre
condizioni. La prima: la disponibilità al confronto deve arrivare anche da
Dini. In secondo luogo: Dini abbandoni la formula ultimativa del prendere o lasciare».
Infine, la terza e ultima condizione: «Queste proposte -sottolinea Monaco-
devono essere interpretate come sottolineature o integrazioni dell’impianto
programmatico proposto agli elettori, perchè il mandato dei cittadini
rappresenta un vincolo politico e morale. Dai senatori vicini a Dini, penso a
D’Amico e Manzione, nelle ultime ore sono venute parole responsabili
che fanno ben sperare», dice il deputato del Partito democratico.
In
ogni caso sarà direttamente Romano Prodi a tentare una ricucitura in extremis
con Dini. Il professore, dopo il Capodanno in montagna, tornerà al lavoro ai
primi di gennaio, per preparare la verifica di maggioranza. Il vertice con i
segretari dell’Unione è previsto per il 10, ma potrebbe anche essere rimandato
in attesa che la Consulta
decida sui referendum elettorali (probabilmente entro il 18).
Sul fronte del centrodestra il
manifesto diniano suscita una raffica di consensi. Ma al di là delle parole
ufficiali ora si attendono i fatti e la coerenza delle scelte. Ovvero che il
più critico tra i critici di Prodi dentro il centrosinistra decida davvero di
far mancare la fiducia. Qualcuno vocifera che Forza Italia sarebbe anche
disposta a “prestare” alcuni suoi senatori a Dini per fare in modo che
quest’ultimo possa costituire un gruppo autonomo al Senato. Ma per ora si
tratta soltanto di voci in libertà. Anche perché nel gruppetto dei senatori
vicini all’ex premier starebbero venendo allo scoperto posizioni diverse sia
sui futuri incarichi all’interno del gruppo, sia sulla strategia da tenere nei
rapporti con il centrosinistra. Ma al di là di questi dissapori la piattaforma
programmatica in sette punti marca in maniera così decisa le differenze
rispetto al resto della coalizione da non poter essere elusa dal premier. Il
messaggio è chiaro: o nel corso della verifica di gennaio arriveranno segnali
concreti oppure questa volta i diniani non potranno trasformare
le loro richieste nell’ennesimo “penultimatum” senza conseguenze.