I “sogni” di D’Alema sono incubi per l’Italia

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I “sogni” di D’Alema sono incubi per l’Italia

15 Giugno 2007

Non è reato dire “facci sognare”, sostiene Massimo D’Alema nella sua intervista al TG5 del 14 giugno, in relazione all’intercettazione dei suoi colloqui con noti banchieri. Se è reato lo stabiliranno i giudici, ma il Ministro degli Esteri e Vice premier dovrà convenire che espressioni del genere non concorrono a dare l’impressione che il nostro sia un sistema finanziario moderno scevro da commistioni tra politica e banche.

Proprio secondo quanto auspicato dal Governatore Draghi nelle Considerazioni finali della Relazione della Banca d’Italia del 31 maggio scorso (cfr. L’Occidentale, Draghi fa fischiare le orecchie a Fassino..., 31 maggio 2007).

 
Quella di D’Alema è solo l’ultima e forse neanche la più vistosa evidenza di un’indebita ingerenza da parte di esponenti di questo Governo nelle decisioni di investimento delle imprese, in particolare di imprese straniere intenzionate a investire in Italia: il dossier Rovati, su carta intestata della Presidenza del Consiglio, “suggerisce” un piano di ristrutturazione per una azienda privata quotata in borsa; il Ministro delle Infrastrutture cambia in corsa le regole del gioco in materia di concessioni già attribuite è silura la fusione tra gli spagnoli di Abertis e la società Autostrade; il Ministro dell’Economia telefona al Presidente del più grande gruppo assicurativo italiano per invitarlo a collaborare nell’ operazione a difesa dell’italianità della Telecom, e il Presidente si permette di chiedere in cambio al Ministro di potere contare sul sostegno del Governo nel caso la sua azienda dovesse essere oggetto di interessi da parte di investitori stranieri, controproposta ancora più indecente dell’invito del Ministro!

 

Due sono le conseguenze nefaste di queste inopportune invasioni di campo da parte della politica.  La prima riguarda il fatto che in tale contesto le scelte di investimento degli imprenditori non vengono a dipendere dai soli criteri di efficienza, redditività, rischio, ma riflettono anche – e soprattutto –  la forza relativa delle lobby politiche, con il che viene penalizzata l’efficiente allocazione delle risorse e quindi il tasso di crescita potenziale del sistema a parità di risorse investite. La seconda, e più grave conseguenza,  è di scoraggiare i potenziali investitori esteri dal prendere in considerazione anche solo l’ipotesi di investire in Italia. Non dimentichiamoci che gli investimenti diretti provenienti dall’estero sono un poderoso fattore di sviluppo, come ampiamente dimostrato da una vasta letteratura scientifica in materia,  perché, tra l’altro, consentono al paese ricevente di “importare conoscenze”%2C in materia di tecnologie, capacità organizzative, reti commerciali messe a disposizione dall’impresa investitrice. Negli anni scorsi l’Italia aveva registrato un significativo aumento dei flussi di investimenti diretti esteri in entrata, più che raddoppiati tra il 2002 e il 2006 (cfr. Relazione Annuale del 31 maggio 2007, Banca d’Italia, Tav. 10.1). Speriamo di non doverne registrare un significativo ridimensionamento nei prossimi anni perché, certo, non sarebbe un motivo “per farci sognare”. 

(Cicero)