I sorrisetti franco-tedeschi sull’Italia non tengono conto di certe verità

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I sorrisetti franco-tedeschi sull’Italia non tengono conto di certe verità

12 Novembre 2011

Non foss’altro per questo, il G20 della scorsa settimana a Cannes ci ha insegnato che, mentre la crisi europea va nella direzione della sua fase più pericolosa, siamo tutti italiani, o meglio il nostro futuro dipende dalla soluzione che sarà trovata al ‘problema italiano’.

Si faccia attenzione comunque. Quel che sembra essere in Italia, difficilmente è quel che è nella realtà. E’ un paese in cui i pezzi del mosaico non smettono mai di muoversi ma dove tutto rimane lo stesso. Ricordatevi quel che il principe di Salina dice nel classico letterario italiano ‘Il Gattopardo’: “Perché tutto rimanga com’è tutto deve cambiare” (ndt. in realtà è suo nipote Tancredi a dirlo).

Se pensavate che la Grecia fosse difficile da capire, tenetevi pronti al grande evento. A Cannes, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel si sono scambiati un sorrisetto durante una conferenza stampa quando gli è stato chiesto la loro opinione in merito a quanta fiducia riponessero in Silvio Berlusconi.

Un gesto poco saggio e pericolosamente indicativo di un modo frivolo nel quale tendiamo a sottostimare l’Italia e i suoi abitanti. La decisione dello scorso Venerdì di mandare dei monitoratori del Fondo monetario internazionale a Roma ad “assicurare” la conformità dell’Italia con le misure di austerità promesse è un buon misuratore di quel che sto dicendo.

La reazione della Borsa di Milano di fronte a quella che avrebbe dovuto essere una buona notizia è di per sé indicativa: una caduta del 3 per cento. C’è un’ingenua tendenza tra gli stranieri a bollare gli italiani di incompetenti che hanno solo bisogno di un po’ di disciplina. Niente di più lontano dalla realtà.

Il sistema, o meglio la miriade di sistemi che governano la vita italiana a ogni livello, sono infatti estremamente organizzati e non inclini al cambiamento. Sono quasi incomprensibili per coloro che stanno al di fuori. Il borsa di Milano aveva ragione a essere scettica.

Non ci dovrebbe essere bisogno di dire che queste sofisticate e interdipendenti reti di potere e d’influenza non sono confinate al mondo della politica. Anche il mondo delle imprese italiane è legato a queste strutture di capitalismo tribale.

Prendiamo come esempio la sesta banca italiana per grandezza, la Banca Popolare di Milano. E’ chiarissimo che tale istituto abbia bisogno di un corso nuovo nella sua governance interna, nel corpo dirigente e nella gestione delle finanze, ma di fronte alle richieste di cambiamento ha mandato in trincea i propri sindacati, i pezzi grossi di Milano hanno fatto di tutto per impedire che addirittura lo sforzo di una Banca d’Italia impotente forzasse il cambiamento.

Il messaggio è stato chiaro. Qualsiasi cosa accada, il sistema non vuole riformarsi. Il consulente finanziario dei recidivi di BPM altri non era che la banca d’investimento, Mediobanca, a sua volta un perfetto esempio dell’indistruttibile natura delle reti di resistenza e di potere presenti in Italia.

Non vi è caso più evidente del controllo a distanza che Mediobanca esercita su Assicurazioni Generali, nelle quali piazzetta Cuccia è l’azionista singolo più grande. Non solo ciò distorce il processo decisionale di Mediobanca, ma continua a mettere in difficoltà lo sviluppo strategico di Generali – ne sia esempio un’impossibilità da parte del management di Generali di crescere in mercati come la Russia.

Se ci si muove più a Sud, l’insistenza del Tesoro italiano a mantenere quote di ‘controllo’ nei pochi campioni nazionali del paese – Enel, Eni e Finmeccanica – si traduce nel toto nomine su base triennale da parte del governo sui management di questi gruppi.

Questa rete particolare, con la sua malsana tentazione di clientelismo, è il più trasparente esempio di come operano i sodalizi politici dell’Italia. Le lunghe battaglie di Fiat – relativamente coronate dal successo  – con i sindacati italiani sono, non a caso, citate con un vago accento di ottimismo.

In questo caso però si trattava di un forestiero – l’ad di Fiat, Sergio Marchionne – che non aveva molto da perdere. La vera guerra per risollevare l’Italia sarà vinta solo quando un numero abbastanza alto di persone dentro il sistema si sarà convinto che non c’è tutto da guadagnare nel tenere in piedi questo sistema capitalista anti-democratico e autoreferenziale.

Come può l’Italia sperare di attrarre nuovi investitori esteri? Basti guardare a come sono trattati. Si prenda, per esempio, Telefonica e la sua totale impotenza dentro Telecom Italia benché il gruppo spagnolo sia il secondo singolo azionista per importanza.

Oppure il gruppo francese Edf che è riuscita a comprarsi Edison, il secondo operatore energetico italiano solo dopo dieci anni e che oggi si vede i propri diritti di voto in consiglio d’amministrazione messi sotto al 2%.

Più Berlusconi si avvicina alla sua fine, più diventa chiaro che egli è espressione di un problema più che il problema in sé. I commentatori si spendono eccitati a speculare su chi possa essere il suo successore. Ma in verità è aspettarsi troppo che uno qualsiasi dei politici in campo possegga abbastanza potere, carisma e coraggio per imprimere il cambiamento di cui ha bisogno tutta l’Italia.

Se l’Italia deve essere salvata, dobbiamo solo sperare che nell’usare tutta la loro astuzia e la loro intelligenza negli anni per impedire che qualcosa cambiasse, il gota italiano inizi a capire che i meccanismi che sono stati impiegati per tenere il mondo reale a distanza, sono gli stessi che oggi li hanno portati dove sono, vicino al fallimento.

Tratto da Financial Times

Tradotto da Edoardo Ferrazzani