I Talebani avanzano e Zardari cede un pezzo del Pakistan alla Sharia

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I Talebani avanzano e Zardari cede un pezzo del Pakistan alla Sharia

14 Aprile 2009

Le elezioni del 2008 in Pakistan, il secondo paese musulmano al mondo, non hanno interrotto quel circolo vizioso fatto di governi instabili e intromissioni del potere militare nella vita pubblica che ha caratterizzato la storia del Paese asiatico fin dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947.

Con la vittoria di Asif Alì Zardari, eletto con una grande maggioranza di voti sull’onda dell’indignazione popolare dopo l’assassinio della moglie Benazir Bhutto, sembrava che qualcosa fosse cambiato nella vita politica pakistana. Gli attacchi terroristici invece continuano e la guerriglia talebana si è intensificata al confine con l’Afghanistan. Secondo lo Institute for Conflict Management il numero di morti nel Paese è salito dai 200 del 2003 ai 3.600 del 2007. I talebani hanno preso il controllo di alcune zone attorno alla capitale Islamabad reintroducendo di fatto la sharia.

Il presidente Pervez Musharraf negli ultimi anni aveva liberalizzato l’economia, privatizzando l’industria di stato e favorendo il commercio estero. Tutto questo ha fatto guadagnare credito al Pakistan di fronte agli occhi del Fondo Monetario Internazionale. Ma il Generale non ha contrastato fino in fondo il terrorismo e la svolta del 2007 non è servita a migliorare la situazione sul terreno.

Come ha scritto Stephen Schwartz, quello del Pakistan è un problema di classe politica. Gli esempi di transizione democratica di successo, pensiamo alla Spagna, alla Corea del Sud o all’Indonesia, sono stati possibili grazie all’ingresso di nuovi attori nella vita politica di questi paesi, che hanno trasformato la frustrazione della popolazione in una speranza per il futuro e in una partecipazione responsabile agli affari pubblici. “Votare semplicemente – dice Schwartz – non basta a democratizzare un Paese”. Soprattutto quando al posto di andare verso una secolarizzazione della vita politica si imbocca la direzione opposta, come sta avvenendo in Pakistan.

Il ruolo di Sharif. La stampa pakistana tende a descrivere il leader dell’opposizione, Nawaz Sharif, come una specie di eroe nazionale, un’immagine che si riflette nel prisma dei media internazionali. Ultimamente Sharif appare un politico “maturo” che, dopo l’esilio, è diventato più moderato, battendosi affinché nel suo Paese trionfi la giustizia (è riuscito a far tornare al suo posto un giudice della corte suprema cacciato da Musharraf). Il capo della “Lega Musulmana” si sta ritagliando con abilità il ruolo di avversario democratico del presidente Zardari: un’opposizione rispettosa della legge che organizza grandi marce di protesta attraverso il Paese accogliendo nelle sue fila avvocati e pezzi del mondo giudiziario.

Sharif ha già governato il Pakistan per due volte, tra il ’90 e il ’93 e tra il ’97 e il ’99. Su una sua indicazione, il 10 ottobre del 1998, il governo pakistano approvò una legge che stabiliva un ordinamento basato sulla Sharia, la legge coranica. Dopo il voto Sharif disse: “Mi congratulo con la Nazione per il passaggio di una legge che ci aiuterà a creare un vero sistema islamico”. Nel gennaio del ’99, prima di cadere per il colpo di stato di Musharraf, il premier reintrodusse la Sharia nelle aree tribali nord-occidentali del Paese al confine con l’Afghanistan.      

L’obiettivo di Sharif è sempre stato quello di trasformare il Pakistan in uno stato come l’Arabia Saudita, mettendo la  costituzione e i tribunali sotto il controllo dei chierici di estrazione wahhabita e dell’estrema destra pakistana che li rappresenta (Sharif è stato in esilio in Arabia Saudita). La “riforma giudiziaria” che ha in mente il capo della “Lega Musulmana” avrebbe dunque un effetto riduttivo sui diritti delle donne e delle minoranze religiose presenti nel Paese. E’ una politica che non rappresenta una minaccia immediata per gli interessi strategici occidentali ma che potrebbe avere conseguenze dolorose per la società civile pakistana. 

Zardari, che fino adesso si era dimostrato un alleato degli Usa nella lotta contro il fondamentalismo islamico, è stato costretto a sottoscrivere la reintroduzione della Sharia nella Valle dello Swat per non perdere del tutto il consenso popolare. Sharif da parte sua non ha mai condannato gli attacchi suicidi dei terroristi, adottando una strategia mediatica fondata sull’antiamericanismo e la retorica complottista (nel ‘90 definì la Bhutto una pedina del complotto “indo-sionista”).

Se dovesse scalzare Zardari alle prossime elezioni, Sharif probabilmente metterà la parola fine alle incursioni dei droni Usa in territorio pakistano, dimostrandosi molto meno accondiscendente dei suoi predecessori verso la lotta al terrorismo. Il suo messaggio è chiaro: il problema del Pakistan non è il jihadismo ma la guerra americana in Afghanistan. Per questo, l’anno scorso, Sharif ha mediato fra i Talebani e il presidente afgano Karzai.

Il fronte jihadista. Un paio di giorni fa una decina di camion per i rifornimenti della Nato, diretti in Afghanistan, sono stati distrutti a Peshawar. La propaganda talebana minaccia una sorta di offensiva del Tet, con una vittoriosa marcia sulla capitale Islamabad; a Rawalpindi, per prudenza, decine di famiglie hanno ritirato i loro figli dalle scuole. La paura che i jihadisti entrino nella capitale o possono attaccarla è tanto forte che l’ambasciata americana ha sospeso per qualche giorno i suoi servizi consolari. Si teme anche per il parlamento e le scuole internazionali inglesi e americane.

Un numero imprecisato di combattenti talebani si muoverebbe a centro chilometri da Islamabad. Tra loro ci sono anche le bande che negli ultimi mesi hanno ripreso il controllo della provincia dello Swat, i cosiddetti “moderati” che – accettando la tregua proposta dal governo federale – hanno reintrodotto di fatto la legge islamica. Personaggi come il maulana Sufi Muhammad, fondatore di Tehreek-e-Nafaz-e-Shariat-e-Mohammadi (TNSM), un’organizzazione collegata al wahabismo saudita e ad altre denominazioni ultrafondamentaliste pakistane come i Deobandi, gli ispiratori dei Talebani.

Sufi Muhammad è stato incarcerato per essere partito volontario in Afghanistan contro l’invasore americano nel 2001. Nel 2008, dichiara di aver rinunciato alla violenza e tratta con il governo federale; nel frattempo suo genero, il maulana Fazlullah assume la leadership del TNSM. Per un po’ di tempo Zardari sta al gioco, commette anche degli sbagli, ma quando lo scorso aprile il presidente pakistano si rifiuta di firmare qualsiasi accordo che ristabilisca la sharia, Sufi Muhammad e Fazlullah abbandonano i negoziati per la pace. Alla fine, Zardari cede e sottoscrive l’accordo sullo Swat.

Amnesty International ha definito la tregua tra il governo centrale e le bande talebane un modo per legittimare gli abusi ai diritti umani nella regione. Vietate la danza e la musica e ogni diavoleria tecnologica occidentale, minacciati gli uomini che si tagliano la barba e le famiglie che mandano le loro figlie femmine a scuola (400 scuole chiuse in poco tempo). Il vaccino contro la polio? Un’arma dei giudei e dei cristiani per rendere impotenti i musulmani.