I Tea Party propongono soluzioni, gli Indignados fanno solo baldoria

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I Tea Party propongono soluzioni, gli Indignados fanno solo baldoria

16 Ottobre 2011

In questi giorni il movimento italiano degli Indignados ha richiamato molta attenzione da parte dell’opinione pubblica sebbene le proposte che portano avanti siano peggiori del problema da risolvere: anche agli occhi di un osservatore inesperto cercare di uscire dalla crisi del welfare state con una ricetta dal retrogusto ancor più assistenzialista è paradossale oltre che essere una contraddizione palese. 

Eppure gli Indignados hanno una forte presa sui media: vuoi perché non son pochi; vuoi perché i cugini d’Oltreoceano hanno visto tra le loro fila centinaia di arresti. Spaventa, infatti, la tensione creatasi intorno ai recenti fatti di Bankitalia, nel mirino degli Indignados, che potrebbero riproporre, a meno di un anno di distanza, guerriglie urbane come quella verificatasi a Roma per le proteste degli studenti al migliore provvedimento elaborato dal Governo in carica. Ben diversi i raduni dei Tea Party americani che non hanno registrato arresti o vetrine rotte – solo per fare il parellelo più immediato – e che, oltre alla differenza nei modi di manifestare, propongono delle soluzioni innovative e concrete.

La dose di protesta e sdegno degli Indignados non è infatti accompagnata da una altrettanto proporzionale elaborazione di proposte, e le poche che si sentono hanno l’odore stantio degli slogan di un corteo studentesco di quarant’anni fa. Non è giustificabile che un movimento composto da giovani che hanno avuto i nostri stessi strumenti – scuola pubblica, università alcuni, internet tutti – e che si riempiono la bocca con la cultura (e contro i tagli alla cultura) elaborino solo sdegno, impertinenza e nessun altra reazione. Ed è ancora più preoccupante che tanti esponenti dello spettacolo cavalchino l’onda della protesta facendo oltre che da cattivi maestri anche da cassa di risonanza per i media golosi di violenza. 

Gli Indignados avranno pure le loro ragioni, ma non devono essere certo fomentati: pena lo scontro sociale. Se poi pensiamo che, se incalzati dalla domanda sulle proposte, vorrebbero nazionalizzare e autogestire qualsiasi cosa, si corre il rischio che  questi ragazzi oltre che fare danni fisici e materiali facciano danni morali ad intere generazioni. Sono rimasti al sogno di un sessantotto che ormai è storia passata e fenomeno impraticabile nell’attualità. Un sogno che orde di docenti della scuola pubblica hanno coltivato e poi trasmesso a loro, rendendoli, anche in questo caso, strumenti e vittime del sistema. Speriamo, che con la loro grande cultura (?), arrivino velocemente al capitolo giusto del libro di storia!