I tecnici chiamano i tecnici ma in sei mesi Monti ha più tecnici che numeri

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I tecnici chiamano i tecnici ma in sei mesi Monti ha più tecnici che numeri

02 Maggio 2012

 

I tecnici dei tecnici. Dal cilindro della spending review spuntano tre superconsulenti chiamati da Palazzo Chigi a sforbiciare, riordinare, gestire, ciò che in decenni la politica non è riuscita a fare e il governo dei tecnici stenta a fare. Perché se c’è bisogno dei commissari che affiancano i commissari, qualche problemino nella tolda di comando del Prof. in loden c’è.

Bondi, Giavazzi, Amato. Tridente d’attacco schierato da Monti che gioca la ‘sua’ partita nella metà campo della politica. Con una mossa che, in realtà sa più di politica che di tecnicismi. Le letture si sprecano nelle ore concitate che seguono l’ufficialità dell’annuncio a Palazzo Chigi e che da oggi (c’è da credere) getterà nuova benzina sul fuoco delle polemiche. Partiti in fermento. C’è chi sostiene che si tratti di un’azione che punta decisamente al 2013 con la velleità di bissare (le formule restano alquanto confuse) il mandato di fine legislatura, dopo il passo indietro di Berlusconi.  C’è chi, invece, lo considera un intervento a gamba tesa, da cartellino giallo, nei confronti dei partiti della maggioranza e chi, infine, ci vede pure un disegno ‘sinistro’ a danno del Pdl: l’idea cioè di attaccare a testa bassa il primo partito della maggioranza che sta in parlamento per aprire una falla al suo interno e agevolare la navigazione degli scontenti verso il polo casiniano che per ammissione dello stesso leader centrista, non esclude la presenza di Monti e di alcuni suoi ministri.

Di tutto, di più. Ma è il contenzioso aperto col Pdl, la novità. Con inusuale veemenza, lunedì il premier in conferenza stampa ha usato la parola “sdegno” all’indirizzo di chi “ha governato, governa o intende riproporsi al governo” e che come tale “non può istigare all’evasione fiscale” o pensare a “soluzioni personali e arbitrarie” sulla compensazione debiti-crediti tra imprenditori e Stato. Chiaro il riferimento all’iniziativa di Alfano che rilancia e conferma: alla Camera e al Senato il suo partito presenterà un ddl ad hoc. Fabrizio Cicchitto rincara la dose: “Vedremo cosa farà Monti, è stato lui ad aprire il contenzioso”.

Monti ha perso le staffe, forse per la prima volta in sei mesi da presidente del Consiglio e lo ha fatto anche sul versante dell’Imu sottolineando che è stato un errore togliere l’Ici negli ultimi tre anni (stoccata dritta in faccia al Cav). Lo aveva già detto all’inizio del suo mandato per la verità, ma il fatto che oggi lo sottolinei con forza, non è un dettaglio formale. Certo, il premier tiene il punto e il suo avviso ai naviganti (i partiti) è quello di un governo che non vuole restare imbrigliano troppo e troppo a lungo nelle maglie dei veti incrociati della politica, anche perché si sa, quando si tratta di mettersi lì a tagliare e razionalizzare in ministeri, enti pubblici e nei meandri della macchina della pubblica amministrazione, si toccano corporazioni, posizioni di rendita, molto spesso frutto di un compromesso con la politica. Che in decenni, ha galleggiato sulle buone intenzioni ma portato ‘a dama’ scarsissimi risultati.

La ‘ bestia nera’ si chiama debito pubblico, spread, mercati e con questi tutti, Monti in primis, devono fare i conti se veramente si vuole portare il paese fuori dalla crisi. E tuttavia è altrettanto determinante che a questo punto, al di là dei volti ‘nuovi’ chiamati a rassettare il disordine della ‘casa Italia’ si tirino fuori i numeri. Cosa che per il momento non pare di vedere, come del resto finora si è visto sul versante della crescita.

Non è sufficiente, né può bastare la simbologia dei supertecnici, dei superconsulenti che affiancano i tecnici. Primo perché sul piano dell’immagine non è un bel segnale per il governo visto l’ambizioso – e legittimo – programma di (fine) legislatura annunciato dal tridente originario Monti-Passera-Fornero che dopo sei mesi si è già raddoppiato con Bondi-Giavazzi-Amato. Secondo: al netto di ogni polemica e strumentalizzazione, ammettendo pure la normalità di un esecutivo composto da dodici ministri che ha bisogno del supporto di altre personalità per affrontare un dossier strategico come quello della spending review, adesso non ci sono più alibi. I supertecnici saranno all’altezza del compito? Sapranno veramente rimettere ordine nel labirinto degli sprechi? Bene, lo facciano però, perché il punto è: cosa vogliono fare veramente.

Enrico Bondi, risanatore implacabile di Parmalat che alla fine è andata ai francesi di Lactalis, ce la farà? Lo dimostri e magari non solo sui 4,2 miliardi indicati come obiettivo da Palazzo Chigi. E che si tratti di un obiettivo non sufficiente lo dimostra il fatto che lo stesso Monti non si sente di escludere l’aumento dell’Iva a ottobre. Proprio il rischio per il quale (non solo per questo) si è deciso di mettere mano alla spending review.

Terzo elemento: la simbologia dei volti ‘nuovi’ rischia di essere un pannicello caldo. Basti pensare a Giuliano Amato che dovrà occuparsi del finanziamento pubblico dei partiti. Non proprio un ‘debuttante’, tantomeno un ‘tecnico’. Anche qui, al netto delle polemiche, il vero nodo è capire cosa questo governo sarà in grado di fare. Se presenterà in parlamento un bel decreto legge col quale intanto dimezza da subito i rimborsi elettorali o se si avviterà su formule e tecnicismi tanto per dare una qualche parvenza di efficienza o per usare il bisturi solo per un intervento estetico e non chirurgico. Dal governo servono i numeri, serve agire sul montante complessivo se davvero si intende affrontare il problema in profondità. Ai partiti spetta il compito di individuare le formule e le modalità con le quali autorinnovarsi.

Ma per fare questo, probabilmente non c’era bisogno di un ‘dottor Sottile’ chiamato a riformare la politica della seconda Repubblica. Proprio lui che ha conosciuto molto bene la prima.