I tedeschi sono ancora perseguitati dall’incubo degli archivi della Stasi
04 Novembre 2009
di Sarah Marsh
Berlino. Per decennia, Joachim Fritsch si è battuto per capire perché gli fosse stato negate l’accesso all’educazione superiore e come mai lo avesser scartato più volte quando si trattava di ottenere delle promozioni sul posto di lavoro. Poi ha trovato le 400 pagine di file che la terrorizzante polizia segreta della Germania Est aveva compilato su di lui. La Stasi lo aveva arrestato a metà degli anni Cinquanta quando aveva solo 17 anni marchiandolo come un “provocatore” per aver mancato di esibire la sua carta di identità. L’arresto aveva lasciato un marchio indelebile sulla sua documentazione, spingendo la Stasi a controllarlo da vicino e ostacolando ripetutamente i tentativi di Fritsch di andare avanti nella sua vita. “Sono stato totalmente travolto quando ho letto il dossier che era stato compilato sul mio conto,” ricorda il 73enne alla Reuters immergendosi nelle copie dei suoi file personali, nel suo piccolo appartamento al decimo piano di un altissimo palazzo nella zona est di Berlino. “Penetri nel tuo passato con esitazione, passo dopo passo”.
Fritsch è una delle centinaia di migliaia di persone che hanno letto i loro file in mano alla Stasi. Vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, l’agenzia del governo incaricata di sorvegliarli è ancora inondata di richieste ed ha almeno paio d’anni di lavoro arretrato. Fondata nel 1950, la Stasi è stata una delle più repressive organizzazioni poliziesche al mondo. E’ riuscita ad infiltrare quasi tutti gli aspetti della vita nella Germania Est, usando la tortura, l’intimidazione e un vastissimo network di informatori per schiacciare la dissidenza. Milioni di tedeschi lavorarono per la Stasi e le fornirono informazioni riservate su amici, familiari, colleghi o amanti. I file, che se fossero stati messi uno dietro l’altro avrebbero misurato 112 chilometri, sono stati aperti al pubblico nel 1992, mostrando una rete di tradimenti.
Il piano era di tenere aperti gli archivi per circa 10 anni – un tempo sufficiente, secondo le autorità, per accedere alle informazioni che riguardavano i cittadini che venivano spiati, e chiudere questo capitolo della Storia. Ma migliaia di persone, la maggioranza provenienti dall’ex Germania Est, stanno ancora rivolgendo domande che continuano ad arrivare ogni mese. Nella sola prima metà del 2009, le richieste sono cresciute di circa l’11 per cento rispetto al 2008. “Abbiamo avuto un forte aumento delle richieste quest’anno perché siamo nel Ventesimo anniversario dalla Caduta del Muro,” dice Martin Boettger, che dirige un ufficio regionale degli archivi della Stasi a Chemnitz, l’ex Karl-Marx-Stadt, “sono stati prodotti molti libri e film, sono attesi altrettanti eventi, così la coscienza pubblica si è risvegliata,” aggiunge Boettger, che su di sé ha trovato 3.000 pagine di dossier, che raccontavano per filo e per segno aspetti normalissimi della sua vita quotidiana, bollandolo come un “fanatico religioso”.
Molti tedeschi dell’Est che avevano subito le persecuzioni della Stasi inizialmente hanno preferito lasciarsi alle spalle i fantasmi del regime totalitario, ma ora sono molto più disposti a confrontarsi con il passato. “La gente temeva di tornare indietro a ciò che gli era accaduto e di subire nuovi traumi,” spiega Helmut Wippich, che ha offerto sostegno e consulenza alla gente che era stata perseguitata dal regime magari da studente. Wippich ricorda che uno dei suoi insegnanti lo aveva denunciato alla Stasi quando lui aveva appena 14 anni. Due anni dopo, fu imprigionato per 9 mesi per aver discusso con un compagno su come abbandonare in volo il Paese. “All’inizio non ho voluto guardare ai miei file, perché era un peso troppo grande da sostenere,” confessa Wippich.
Altri erano semplicemente troppo occupati a ricostruire la loro vita dopo la Caduta del Muro nel novembre dell’89 da frugare in un passato così penoso. Dana Wotschack, 37 anni, dice che lei si è concentrata sulla ricerca di un lavoro ed è stata felice di lasciarsi dietro un un regime che l’aveva brutalmente interrogata quando era appena 17enne per aver strappato un poster elettorale dei comunisti. Alcuni film recenti sulla Stasi, come il Premio Oscar 2006 “Le vite degli altri”, sono stati la scintilla che l’ha spinta a incuriosirsi. Quando un buon amico l’ha avvicinata dicendole che avrebbe potuto mostrarle i file che la riguardavano, Dana ha accettato di farlo. Ma la donna non ha nascosto il suo disappunto quando ha ricevuto la notizia che non c’erano dossier a suo nome.
A metà di quelli che hanno richiesto di vedere i loro file non è stato permesso, secondo Boettger, sebbene questo non significhi necessariamente che fossero spiati. La Stasi ha iniziato a fare a brandelli i file appena il regime della Germania Est ha collassato, e circa 15.000 sacchi di carte fatta a striscioline hanno ancora bisogno di essere riassemblate. “Ho pensato che avrei potuto ripulire il mio nome se avessi trovato quei file,” dice Wotschack, seduto a un caffè di Alexanderplatz, una piazza di Berlino Est ancora dominata dall’architettura comunista, “che avrei potuto essere felice se fossi stato in grado di tracciare una linea al di là di quel periodo della mia vita.
Molta gente ha richiesto di ottenere i file per provare che era stata ingiustamente imprigionata, per ripulire la propria fedina penale e chiedere dei risarcimenti per il tempo che aveva trascorso in galera. “Sotto una dittatura non hai nessuna prova di quello che sta succedendo,” dice Fritsch, che è stato imprigionato per due volte dalla Stasi, e che è stato allontanato dai suoi stessi familiari che volevano sfuggire alle persecuzioni della polizia segreta. “Gli archivi della Stasi erano la sola strada che avevamo per trovare i documenti necessari a provare che eravamo stati arrestati, con l’obiettivo di venir riabilitati”. Gli archivi sono anche stati visti come un modo per decifrare in modo critico la Storia della Germania Est e capire come mai milioni di persone vissute sotto una dittatura quarantennale non avessero mai fatto troppa resistenza al sistema. “Lavoravano nella paura, spiandosi l’un l’altro, imprigionando grandi masse di persone, intimidendo la gente, intervenendo nella loro carriera e riuscendo a prevenire che i cittadini avessero una educazione completa,” conclude Boettger. “Gli archivi ci hanno messo in grado di capire i metodi segreti di una dittatura”.
Tratto da Reuters International
Traduzione di Roberto Santoro