I tibetani in esilio non sempre rappresentano il “Tibet libero”

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I tibetani in esilio non sempre rappresentano il “Tibet libero”

19 Maggio 2011

Apprezzo lo sforzo lucido e disincantato dell’autore nel tentare di spiegare la questione tibetana e la figura del Dalai Lama che anticipo che è a tutti gli effetti un Sua Santità! Se posso, da attivista mi permetto di puntualizzare qualcosa. E’ indubbio che la ribalta scenica che il Tibet si è guadagnato è totalmente dovuta all’attuale Dalai Lama e alla sua azione sempre non-violenta e di mediazione a oltranza che gli ha consentito sì di meritarsi il Nobel ma di ottenere praticamente "zero tituli" nel confronto politico con la Cina. Se vogliamo un valido tentativo politico strategico c’è stato ed è quello della richiesta della famosa "genuina autonomia" avanzata già a fine anni ’80 trascinata però a tutt’oggi e sempre con "zero tituli".

In pratica, Sua Santità Tenzin Gyatso si è ritrovato nel loop di questa idea improduttiva che all’inizio poteva sembrare spiazzante, ma che gli è servita solo a evidenziare l’alone di grande uomo di pace amato e rispettato a livello internazionale. Per carità tutto questo nel pieno del rispetto della filosofia buddista di cui è eminente rappresentante. Quindi da un lato leader politico per i tibetani e dall’altro leader spirituale non solo per i tibetani… politico con scarsi risultati. Capo spirituale però di enorme valore e dignità la cui predicazione non settaria in primis e poi, giusto per citare altro, il suo invito a non abbandonare le proprie credenze religiose non possono non essere considerate aperte e all’avanguardia.

Quindi approfitto per rispondere che Sua Santità lo è per milioni di buddisti nel mondo. Sulla sua figura politica però ci sono alcune cose un po’ confuse dall’autore. La CIA provò a finanziare i tibetani, ma non il Dalai Lama, quanto un gruppo di guerriglieri partigiani che aveva intrapreso un minimo di resistenza nel Mustang e che furono poi abbandonati al triste destino della cattura e del carcere… La questione Shugden è una commistione di dialettica religiosa tra scuole buddiste tibetane, ma che trova spazio anche nella politica e nella gestione del potere e soprattutto anche con la longa mano cinese che alimenta focolai di lotte intestine alla società tibetana anche con cospicui finanziamenti. Qui ci sono eccome i finanziamenti. Devo però fermarmi perché solo questa questione è talmente complessa che richiederebbe molto spazio.

Mi preme invece sottolineare un altro punto secondo me fondamentale. Quando si parla di Tibet e di tibetani si parla solitamente di quelli in esilio. Ma dei tibetani in Tibet, costretti all’emarginazione, privi di ogni diritto civico nella propria terra e impediti nella più quotidiana libertà ne vogliamo parlare? Se il Governo Tibetano in Esilio e il Dalai Lama non vogliono l’indipendenza saranno affari loro e di quel centinaio di migliaia di tibetani in esilio… I milioni di tibetani in Tibet invece rivogliono la propria terra e la propria libertà e giustamente lottano perché i cinesi se ne tornino da dove sono venuti. I milioni di tibetani in Tibet sono quelli che patiscono le rappresaglie e che, nella migliore delle ipotesi, si beccano anni di galera perché nella piazzetta del mercato di uno sperduto villaggio gridano "Tibet libero".

Insomma, la terza faccia della medaglia è che in tutta questa questione ci sono vittime e carnefici. E’ provato che fin dall’invasione i cinesi sono i carnefici e i tibetani le vittime. Per favore non dimentichiamolo. E’ a questo Tibet che si deve guardare perché sarà questo Tibet che, lottando in modo sempre più deciso e determinato, sarà libero! Come saranno liberi e vivranno in democrazia gli Uiguri, gli abitanti della Mongolia interna e gli stessi cinesi oppressi da questa malsana e anacronistica dittatura oligarchica che, ahimè, di comunismo non ha un bel nulla.