I toni soft sono finiti: D’Alema accende la guerra nel Pd

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I toni soft sono finiti: D’Alema accende la guerra nel Pd

08 Luglio 2009

 

I toni soft, imposti per qualche mese dalla campagna elettorale e dalla drammatica transizione post-veltroniana, sono definitivamente archiviati. I decibel salgono, insieme alla temperatura del dibattito. E dentro il Pd ora infuria una vera e propria resa dei conti in cui si scontrano le diverse strategie politiche, le diverse visioni del partito ed escono allo scoperto vecchie ruggini personali e conflitti mai risolti.

Niente male considerato che siamo a luglio e allo show-down congressuale mancano ancora tre mesi in cui potrebbe davvero accadere di tutto. Con il risultato che molti iniziano a chiedersi cosa come reggerà il Pd allo scenario di guerra e cosa resterà davvero del partito se il tenore del dibattito dovesse continuare a svilupparsi lungo questa direttrice. Tanto più che la sfida questa volta sarà doppia, visto che ci sarà prima la battaglia tra gli iscritti, durante il congresso, e poi a seguire quella tra gli elettori con le primarie. Un paradosso che potrebbe diventare ancora più sonante se, a vincere, fossero leader e schieramenti diversi nel primo e nel secondo appuntamento.

La novità è che ora l’ “accendi-micce”, l’animatore del dibattito, è un personaggio rimasto per parecchio tempo nelle retrovie: Massimo D’Alema. L’ex premier di una breve stagione e poi ex ministro degli Esteri è uscito da una sorta di torpore da riserva della Repubblica, ha abbandonato le frasi pronunciate  a mezza bocca e le allusioni più o meno sottili e ha iniziato a cantarle ai suoi avversari.

Prima ha puntato il dito contro la stagione veltroniana, dicendo basta al “leaderismo plebiscitario”. “Se si dà la colpa agli apparati cattivi non c’è discussione politica ma si ricerca solo una via per eliminare i cattivi. Lungo questa strada si finisce male”. Invece c’è bisogno di “un congresso fondativi che liberi un partito progettato su un modello di leaderismo plebiscitario” E ancora: “E’ necessario liberarsi di un progetto di partito che ha chiuso in una gabbia troppo asfittica il Pd. Nel partito, fin dalla sua nascita, è presente una sorta di berlusconismo debole, articolato su capo, media e massa”.

La seconda puntata è stata riservata appena due giorni fa a Dario Franceschini. “E’ sbagliato candidarsi contro qualcuno come ha fatto lui anche perché ha perso milioni di voti alle Europee e non può arrivare e dire voglio andare avanti. Io quando ero premier, avendo perso alle Regioni 7 a 7, feci un passo indietro. Questo gruppo dirigente non ha saputo sfruttare la sua chance. Adesso Franceschini deve farsi da parte”. E ancora: “Franceschini si è candidato dicendo; scendo in campo per evitare che tornino quelli di prima. Ma quelli di prima chi sono? Rutelli e Fassino che sostengono Franceschini? C’è qualcosa che non va”.

I toni, insomma, sono durissimi. E in qualche modo assomigliano a quelli di un giocatore di tennis che, trovatosi in svantaggio, deve forzare i colpi e rischiare il tutto per tutto per recuperare.

D’Alema, d’altra parte, gioca da outsider appoggiando una candidatura, quella di Pierluigi Bersani, che non è sostenuta dell’apparato. E sa perfettamente che in questa fase non può più giocare di scherma ma deve imbracciare la sciabola. Una situazione psicologica che lo porta a sposare tesi certamente foriere di polemiche. Liquidando le primarie, D’Alema ha spiegato che il partito deve tornare in mano ai soli iscritti, evitando che i cittadini possano “demolirlo, invaderlo, occuparlo”.

Un’affermazione vista da qualcuno come un monito contro l’eccesso di democrazia interna facilmente trascolorabile in anarchia. Tant’è che Giorgio Tonini, senatore veltroniano, contrattacca così: “D’Alema ha dato di fatto ragione ai rischi denunciati da Franceschini che ci sia una parte che vuole tornare indietro: a coalizioni decise a tavolino e a un partito di proprietà degli iscritti che tiene alla larga come la peste gli elettori delle primarie. I toni mi hanno sorpreso ma il contenuto no”.

Lo scontro tra i vessilliferi del vecchio e del nuovo, categorie in verità relative e intercambiabili, insomma, infuria con tutta la forza possibile. E non è difficile prevedere una stagione in cui l’inventiva pre-congressuale verrà sostituita dall’invettiva.