I tre no della Fiom su Pomigliano. E ora?
15 Giugno 2010
Il Comitato Centrale della Fiom ieri ha confermato il no all’intesa su Pomigliano. raggiunta venerdì tra Fiat, e metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic. La decisione è stata assunta all’unanimità. La minoranza della categoria, ma maggioranza nella confederazione poiché fa riferimento all’82% conseguito al recente congresso dal leader nazionale Guglielmo Epifani, avrebbe evitato il braccio di ferro. Ma alla fine ha deciso di scongiurare una frattura interna, che avrebbe ulteriormente indebolito una posizione che già è minoritaria. Non solo tutti gli altri sindacati e naturalmente la Fiat, ma tutte le forze dell’impresa, con reiterati interventi del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, hanno calorosamente invitato sino all’ultimo secondo la Fiom a recedere dalle sue riserve. Così non è stato. Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?
La Fiat e Confindustria, come gli altri sindacati firmatari dell’intesa, sottolineano che l’accordo ha la portata di una svolta storica. E’ vero. Perché per la prima volta, proprio nello stabilimento che, chiusa Termini Imerese nel 2011, rappresenta la punta avanzata degli insediamenti nel Mezzogiorno dell’azienda manifatturiera leader del nostro Paese, si condividono insieme regole e princìpi che sono senza precedenti. Assumono infatti come criterio di riferimento ritmi e obiettivi di produttività comparati a quelli degli stabilimenti che la Fiat gestisce in Brasile e Polonia, perché la nuova Fiat-Chrysler di Marchionne mira a essere protagonista nel consolidamento dell’auto mondiale.
Se l’azienda vince nel mondo, allora difende meglio testa e membra che ha storicamente in Italia. Ma solo se gli stabilimenti italiani accettano la sfida della produttività, ha senso che Fiat investa nel nostro Paese 20 dei suoi 30 miliardi annunciati nel suo programma pluriennale. E solo se Pomigliano passa da 36 mila a 280 mila auto prodotte, ha senso investirvi altri 700 milioni. Marchionne è stato chiaro. Ditemi se siete disposti, ha detto ai sindacati. Altrimenti non sposto dalla Polonia all’Italia la lavorazione della Nuova Panda. La faccio altrove, e Pomigliano si chiude.
Che i sindacati firmatari condividano esplicitamente questo assunto, spalanca una porta alla condivisione strutturale di come meglio utilizzare impianti, orari, turni e produttività in tutta l’industria italiana. Ora si capisce meglio, che cosa avevano in mente Confindustria e tutti i sindacati – tranne la Cgil – che nel febbraio 2009 firmarono l’intesa per i nuovi assetti contrattuali, decentrati e contrattati localmente, proprio per consentire lo scambio "più produttività alle imprese, più salario ai lavoratori". Ci fu chi irrise, dicendo che le aziende chiudevano, altro che salario di produttività. Ma al contrario, nella grande crisi, oltre 20 mila imprese manifatturiere italiane già internazionalizzate stanno tenendo dannatamente bene le posizioni sull’export. Insieme alla Germania, che avanza e migliora, siamo l’unico Paese del G10 che difende la sua posizione mentre gli altri perdono. Per questo ora c’è bisogno di intese come Pomigliano, per crederci fino in fondo e fare ancor meglio.
Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?
Il no della Fiom ha tre argomenti. Il primo ha a che vedere con l’idea di mercato: il rifiuto di sottoscrivere un simile accordo sotto la pressione della chiusura dello stabilimento. La Fiom la considera una minaccia intollerabile, non la conseguenza obbligata e fisiologica per un’impresa multinazionale. Il secondo deriva da ciò che la Fiom considera la vera ancora delle relazioni industriali: solo e soltanto il contratto nazionale di categoria. Accordi integrativi aziendali possono essere aggiuntivi per la parte salariale, ma mai e in nessun caso intaccare né la parte normativa del contratto, né quella salariale.
La terza ragione è ancor più di fondo, perché investe "il" diritto sindacale per definizione. Se aderite a un’idea di sindacato partecipativo, allora per voi – e per le 4 organizzazioni firmatarie – il diritto essenziale per tutelare meglio gli iscritti è quello di codecidere il più possibile con l’azienda. Se restate invece all’idea che il sindacato sia una forza antagonista, ovviamente per voi – per la Fiom, sicuramente – "il" diritto essenziale in campo sindacale è quello di sciopero. Al quale certo gli altri sindacati non rinunciano, ma che considerano arma estrema , non ordinaria. E poiché l’intesa per Pomigliano non riguarda solo turni e orari, ma è in deroga al contratto nazionale sia per quanto riguarda gli assenteisti e finti malati – niente contributi sanitari aziendali – sia soprattutto impegna i sindacati a non dichiarare sciopero nei turni supplettivi chiesti dall’azienda in notturni e sabati, ecco che per la Fiom scatta il rosso assoluto. Lo sciopero non si tocca: ed ecco l’appello alla Costituzione e alle leggi violate.
Per il futuro di Pomigliano, è decisivo a questo punto che nel referendum aperto a tutti lavoratori il sì vinca a larga maggioranza. In caso contrario, se dovesse prevalere una vasta resistenza in nome dell’autarchia italiana e dovessero di conseguenza manifestarsi opposizioni permanenti, la Fiat si riserva di considerare incompatibile Pomigliano coi suoi programmi. In tutto il Sud, la Fiat col suo indotto di centinaia di imprese collegate non ci sarebbe più. Sarebbe, quello sì, un segno che non è la Fiat a non voler più restare in Italia. Ma che c’è un’Italia che non vuole più la Fiat, neanche questa che per la prima volta in un secolo non prende più sussidi pubblici, indicandogli che l’unica strada per restare competitiva è sempre più solo quella straniera.
Tratto da Chicago-Blog