I tre sì della Consulta rendono  il governo ancora più fragile

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I tre sì della Consulta rendono il governo ancora più fragile

16 Gennaio 2008

La Corte Costituzionale ha dato il via libera ai referendum. La notizia era già nell’aria da giorni anche se nelle ultime ore molti avevano sperato in una bocciatura o quanto meno in una decisa frenata da parte della Corte. Ed invece è arrivato l’ok dei giudici che ora lasceranno alla politica il da farsi. Infatti come prevede la legge il governo dovrà decidere una data tra aprile e giugno per la celebrazione del voto referendario. Sempre che non intervenga un accordo tra le forze politiche che eviti il referendum e permetta il varo di una nuova legge elettorale. Ma su questo ultimo punto sono molti ad essere scettici visto che le distanze tra i partiti sono notevoli e che il clima politico, soprattutto dopo la vicenda del ministro Mastella, è diventato alquanto viscido. Più probabile, allora, che possa saltare il tavolo politico ed in particolare la Legislatura, evento che porterebbe alle elezioni evitando il referendum. Ipotesi accarezzata dai “nanetti” dell’Unione che pur di scongiurare la consultazione referendaria sarebbero disposti al sacrificio elettorale. Congetture e ricostruzioni politiche a parte il dato vero è che da stasera la prospettiva del referendum è sempre più concreta. Una situazione decretata dalla Corte Costituzionale in meno di tre ore di camera di consiglio. Un tempo relativamente breve, come ha fatto notare uno dei promotori del Comitato a favore dei referendum il professor Giovanni Guzzetta. Tempi stretti di decisione che farebbero anche pensare ad un’unanimità dei giudici sulla scelta di dare il via ai quesiti. Tutte circostanze che darebbero ancora maggiore rilevanza ai quesiti stessi. A passare sono stati tutti e tre le questioni che Guzzetta e Mario Segni avevano sottoposto al vaglio della Corte. Tre punti che riflettono le tre modalità per intervenire sulla legislazione elettorale vigente. Il tutto però senza rendere necessario l’intervento legislativo del Parlamento. Questo è stato, forse, secondo alcuni uno degli elementi che ha giocato a favore della scelta positiva della Corte. Modifiche che quindi permetterebbero di rendere subito valida la normativa senza imporre alle forze politiche di trovare un’intesa per varare una nuova legge. Entrando nello specifico i quesiti sottoposti fanno riferimento a piccoli cambiamenti anche se sostanziali che prevedono l’abolizione del premio di maggioranza alla Camera ed al Senato alla coalizione vincente oltre il divieto di candidature multiple. Evidenti le conseguenze se dovesse passare il referendum: il completo mutamento dell’attuale quadro politico nazionale con il passaggio dall’esperienza bipolare di questi ultimi quindici anni ad una bipartitica. Dal comitato promotore evidente e scontato l’entusiasmo per una decisione che come chiarisce Guzzetta “ha evitato il logoramento per il Paese”. In particolare l’ideatore del referendum ha precisato che adesso “si va verso una semplificazione con due grandi schieramenti che si confrontano per il governo del Paese e soprattutto si dà la possibilità ai cittadini di scegliere chi governa. Finiscono alchimie e bizantinismi”. Sul fronte politico invece iniziano le prime divisioni. Il ministro della Difesa Arturo Parisi, da sempre sostenitore dell’ipotesi referendaria, rilancia plaudendo alla decisione della Corte e precisando che “il tempo delle soluzioni pasticciate e dei tentativi di imbrogliarsi a vicenda è scaduto”. Positivi anche i commenti di An che si era spesa molto per l’ammissione del referendum stesso. A parlare è il capogruppo al Senato Altero Matteoli che esprime “soddisfazione” evidenziando proprio la rapidità con cui la corte ha deciso. Entusiasta anche il ministro Di Pietro che proprio negli ultimi giorni si era “convertito” al referendum spiegando che adesso “la parola passa ai cittadini” e che “in questo modo finiranno gli intrighi del Palazzo dove ogni partito spingeva per farsi una legge elettorale a proprio uso e consumo”. Mentre Forza Italia con Fabrizio Cicchitto chiede di intervenire in modo più deciso sulla bozza Bianco. Ma nell’Unione giungono anche commenti negativi come quello del presidente della Camera Bertinotti, uno dei sostenitori dell’accordo politico per evitare il referendum, che replica: “Rispettando la decisione della Consulta, penso che il Parlamento oggi sia nella stessa condizione di ieri: e cioè quella di dover determinare con le sue forze ed in piena autonomia lo sblocco della crisi del sistema politico”. Una dichiarazione che fa il paio con quella del Pdci che parla di “torsione autoritaria” dopo la scelta della Corte Costituzionale. E gli sguardi adesso sono rivolti proprio all’Unione dove è più evidente la deflagrazione che potrebbe innescarsi dopo il via libera alla consultazione referendaria. Tutta l’attenzione però ora si sposta al Senato in Commissione Affari Costituzionali dove martedì ci sarà il voto sulla bozza Bianco. E qui con un voto negativo potrebbe essere dato il via ufficiale alla campagna per il referendum.