I velleitarismi di Formigoni (e non solo) nella partita per la premiership del Pdl
13 Febbraio 2012
Il ‘sasso’ formigoniano nello ‘stagno’ del Pdl produce cerchi concentrici pari a quelli dell’ala dura e pura degli ex aenne che mal digeriscono il sostegno al governo Monti, disegnano un partito più strutturato (pesante) magari con un Porcellum farcito di preferenze e comunque distante dal cantiere dei moderati dove Pdl e Udc potrebbero incontrarsi (nel 2013). Angelino Alfano tiene la barra dritta o almeno prova a farlo, mettendo al riparo il partito dalle spinte concentriche che in questa fase così delicata rischiano di farlo deragliare dai binari tracciati e in parte già costruiti dal segretario di un partito eletto all’unanimità.
Che dopo la “botta” delle dimissioni di Berlusconi, sta cercando di ricompattare dirigenti e militanti, lanciare un’offerta programmatica credibile sulla quale investire per le politiche ormai alle viste e nel frattempo gestire la stagione dei congressi e preparare quella delle amministrative. Il tutto sostenendo un governo tecnico “per il bene del Paese” e mettendo in conto il disimpegno rivendicazionista e pure tattico della Lega nei test elettorali di maggio. Compito non facile, che Alfano porta avanti insieme al gruppo dirigente di via dell’Umiltà tenendo botta ai maldipancia di molti pidiellini che guardando al domani, temono una scomposizione degli equilibri dei partiti di oggi.
In tutto questo si innesta il ‘sasso’ formigoniano che il governatore della Lombardia lancia dalle colonne della Repubblica (particolare di certo non passato inosservato) riaprendo il dossier primarie. Due mosse, sostanzialmente, che ne contengono una terza: ipotizzare la candidatura alla premiership di Corrado Passera è la cifra da un lato per sbarrare la strada ad Alfano; dall’altro per ‘bruciare’ un nome da tempo nel ventilatore dei rumors di Palazzo che, tra l’altro, viene accreditato in buoni rapporti col Cav. Tirare in ballo Passera (che si è ben guardato dal replicare) significa in un certo senso mettere un ostacolo davanti al cammino del segretario del Pdl che Berlusconi vuole e vede alla guida del centrodestra e in pole position per Palazzo Chigi.
Al tempo stesso, significa esporre un potenziale candidato politico (tra un anno e mezzo) tentando di depotenziarne ambizioni e credenziali. Terza mossa: sparigliare e tenere la strada delle primarie aperta alla sua candidatura, idea che Formigoni non ha abbandonato definitivamente, nonostante le fughe in avanti e i dietrofront che pure ieri non sono mancati nelle dichiarazioni di rito dopo l’intervista a Rep. “Io ho detto che il mio desiderio è di governare la Lombardia fino al 2015. Dopo di che non tutti i desideri si riescono necessariamente a realizzare, perchè sono un uomo di partito”. Un formula in perfetto politichese per tenersi entrambe le opzioni, sia la riconferma al Pirellone che quella alle primarie del Pdl, soprattutto dopo la stoccata di fioretto ricevuta da Alfano: “La notizia è che Formigoni non si candida alle primarie, una grande perdita per noi è una perdita ma può essere un guadagno per la Regione Lombardia”. Uno a uno.
C’è un altro aspetto alla base del movimentismo formigoniano: la sua ricandidatura a governatore non è affatto scontata e dipenderà sostanzialmente da due fattori: cosa sarà il centrodestra tra un anno e mezzo e cosa farà la Lega che da sempre tenta di mettere il cappello sopra il Pirellone. Per questo, secondo alcuni deputati milanesi, Formigoni deve comunque lasciarsi aperta una via nazionale ma è altrettanto innegabile che il modo e i tempi in cui lo sta facendo non sembrano produrre grandi frutti se non alimentare inutili fibrillazioni. Ancora: non esiste alcun automatismo tra il Pirellone e Palazzo Chigi, almeno non più e non come ai tempi del Cav. Insomma, per dirla con un navigato parlamentare meneghino “non c’è più il posto fisso e Formigoni lo sa bene”.
C’è anche chi nella vecchia guardia forzista, ricorda che nel 2006 “volle essere eletto al Senato ma vi restò pochissimo” come pure nel 2008 (“lì ambiva a un ministero di peso, Interni o Esteri, ma ricevette l’ennesimo stop”) sottolineando che l’ambizione del governatore spesso ha coinciso con l’indecisione sul che fare, al punto che maliziosamente si dice di lui: “E’ sempre candidato a tutto”. Infine c’è chi da un lato non ritiene probabile o ‘proponibile’ la “quinta candidatura consecutiva di Formigoni al timone della Lombardia”, dall’altro ne evidenzia una sostanziale ‘debolezza’ proiettata in uno scenario nazionale, soprattutto adesso che l’asse con Maurizio Lupi non è più così forte come un tempo: il vicepresidente della Camera è infatti saldamente schierato con Alfano e col gruppo dirigente di via dell’Umiltà.
Anche nella partita congressuale a Milano Formigoni ha giocato senz’altro un ruolo di peso ma non determinante. Guido Sisler, ex An, eletto coordinatore provinciale con un’ampia maggioranza (nel duello con Podestà) è il nome sostenuto dai maggiorenti del partito, La Russa in testa. Nelle file ex aennine, poi, il movimentismo formigoniano crea più di una perplessità e del resto non da ora: in molti ci vedono l’ombra di una possibile manovra neocentrista.
Lo stesso sospetto che si appunta anche sul segretario nazionale al quale parte degli ex colonnelli imputa una linea troppo soft nei confronti del governo Monti (“si può sostenerlo anche con maggiore brio, maggiore dinamismo”, sibilano), che alla lunga – è il ragionamento – potrebbe disorientare l’elettorato e far precipitare i consensi che già oggi i sondaggi segnalano col segno meno. La dimostrazione plastica sta nell’intervista al Secolo d’Italia di Maurizio Bianconi, esponente di spicco della destra e matteoliano di ferro, uno tra i più convinti del ritorno al voto dopo la caduta di Berlusconi che, contestando il reiterato ricorso alle fiducie di Monti dice: “Questi ci considerano minus quam merdam. Questi incarnano tutto quello che ho combattuto nella mia vita”.
La sfida di Alfano per il Pdl che verrà è anche questa.