I veri pirati? Sono stati gli indiani
17 Marzo 2012
La petroliera “Enrica Lexie”, con i nostri marò finiti in galera, è stata intercettata da un elicottero indiano in alto mare a ben 29 miglia dalla costa. Al di fuori delle acque territoriali e pure quelle contigue (24 miglia in tutto) dove non si possono fermare navi battenti bandiera straniera, come la petroliera italiana. Documenti, rapporti ed orari dimostrano che gli indiani, oltre al tranello, hanno imposto alla nave italiana, che navigava in acque internazionali, di tornare indietro con toni perentori che non lasciavano scampo. Nessuno sembra essersi accorto del pericolo, comprese la Farnesina e la Marina militare.
IL RAPPORTO DEL COMANDANTE
Nel rapporto inviato dal capitano Umberto Vitelli alla Fratelli D’Amato di Napoli, la società armatrice della “Lexie”, il comandante racconta nei dettagli cosa è accaduto il 15 febbraio, dopo l’incidente con una sospetta barca di pirati. “Durante l’evolversi dei fatti la nave si trovava a circa 29 miglia dalla costa indiana. Veniva notato da più persone dell’equipaggio e dai militari del nucleo di protezione (i marò, nda) un elicottero che ci sorvolava”. Gli indiani hanno lanciato la caccia in acque dove non avevano alcun diritto di fermare una nave con bandiera straniera. “Alle 19.15 (ora locale, le 15.15 in Italia), come riportato sui registri, venivo contattato dalla guardia costiera (indiana nda) – scrive il capitano Vitelli – che si informava sul cambio di rotta e del tempo stimato di arrivo a Kochi”. Non solo: “Si notavano sullo schermo radar più bersagli (unità navali a distanza di qualche miglia, nda) senza identificazioni (come per le navi militari, nda). Alle 22, dopo aver dato fondo (all’ancora, nda) si palesavano simultaneamente tre motovedette della guardia costiera, che giravano attorno alla nave ininterrottamente per tutta la notte”. Per capire come gli indiani ci hanno fregato bisogna fare un passo indietro. Alle 13, ora italiana, la Marina militare informa il ministero degli Affari esteri che i marò della “Lexie” hanno respinto 32 minuti prima un sospetto attacco dei pirati. Sembra tutto tranquillo, a tal punto che verrà emesso un comunicato stampa sul successo dell’operazione.
L’ESCA INDIANA VIA MAIL
Il Centro di coordinamento per il salvataggio in mare di Mumbai della guardia costiera indiana invia una mail al comandante Vitelli in cui lancia la prima esca parlando della segnalazione di un atto “di pirateria con uno scontro a fuoco fra la sua nave ed uno scafo sospetto”. E poi scrive: “Vi chiediamo di dirigere sul porto di Kochi mettendovi in contatto con la guardia costiera indiana”. Undici minuti dopo il capitano scrive per conoscenza all’armatore che in seguito alla richiesta di Mumbai “stiamo cambiando rotta e dirigendoci su Kochi. Poi riprenderemo il viaggio”. Dalla Fratelli D’Amato sottolineano di non aver mai chiesto al comandante di tornare indietro, mentre i ministri degli Esteri e della Difesa sostengono che “l’armatore ha dato l’autorizzazione”. Il capitano, non avendo nulla da temere, accetta la richiesta, ma la trappola si sta chiudendo. Prima della richiesta scritta la guardia costiera, parlando con il secondo ufficiale di coperta indiano, assicura che gli italiani devono solo “riconoscere i pirati e che tutto si sarebbe risolto in poco tempo”. Più tardi, con la petroliera ancora fuori dalle acque territoriali e contigue, gli indiani si fanno più aggressivi lanciando l’elicottero che sorvola la “Lexie”. Nel documento del giorno dopo, il 16 febbraio, lo stesso ministro della navigazione indiana ammette che la guardia costiera “ha intercettato la nave scortandola al porto di Kochi per le indagini”.
IL VIA LIBERA DELLA MARINA
In Italia il pomeriggio del 15 febbraio sembra che nessuno sospetti nulla. Martedì in Senato il ministro Terzi rivela che “il comandante della squadra navale e del Centro operativo interforze (Coi) non avanzavano obiezioni” al rientro in porto “in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane”. La Marina non l’ha mai detto. Non solo: il 15 febbraio il capo della squadra navale è l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, che pochi giorni dopo diventerà capo di stato maggiore. “Abbiamo sempre confermato che la nave non avrebbe dovuto entrare nelle acque indiane come valutazione di buon senso a posteriori, sulla scorta di quanto successo una volta che la “Enrica Lexie” è arrivata in porto – spiega la Marina a Il Giornale -. A priori la richiesta indiana non poteva essere individuata come tentativo di inganno”. In pratica sono rimasti tutti fregati. Ancora alle 23.29 locali, nella rada di Kochi, il capitano invia in copia a Cincnav, il quartier generale della Marina, la richiesta agli indiani di chiarire subito la faccenda per poter ripartire il giorno seguente alle sei del mattino. Trentasei minuti dopo le autorità locali rispondono che non se ne parla. Il 17 febbraio viene recapitato a bordo, dalla polizia, lo stato di fermo e ordini draconiani come “l’immediato trasferimento del comandante e del personale della sicurezza (i marò) sul suolo indiano”.
LO SBARCO CON LA FORZA DEI MARÒ
La situazione precipita e si apre la seconda drammatica fase che porta all’arresto dei fucilieri il 19 febbraio. La Difesa giura che non li ha mai autorizzati a scendere a terra, idem gli Esteri. Ieri al Copasir (organo parlamentare di controllo dei servizi segreti) il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha sostenuto che i militari sarebbero stati costretti a sbarcare con la minaccia della armi. Il 19 febbraio a bordo con i marò ci sono il console a Mumbai, Giampaolo Cutillo, l’addetto militare dell’ambasciata italiana, contrammiraglio Franco Favre. A Kochi è arrivato anche l’ammiraglio Alessandro Piroli, capo del reparto operazioni della Marina, con un’apposita delegazione. È possibile che i marò, addestrati a ben peggio, si siano consegnati senza un’autorizzazione dall’alto? I rapporti giunti da bordo confermano che gli indiani “sono venuti a prenderli con la forza. L’accompagnamento è stato coercitivo”. E rivelano un particolare da prigionieri di “guerra”. I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, immaginando la loro sorte, prima di farsi sbarcare dagli indiani dichiarano: “Consideriamo illegale il tentativo di sottrarci con la forza alla giurisdizione italiana, in virtù del principio di immunità delle forze militari in transito” ed in servizio antipirateria. Purtroppo non serve a nulla.
Tratto da "Il Giornale" del 15/III/2012