Idea per Obama: compriamo le testate atomiche pakistane

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Idea per Obama: compriamo le testate atomiche pakistane

20 Dicembre 2008

Chiunque sia stato in Pakistan senza dubbio le ha viste: al margine della strada si ergono diverse ricostruzioni di una lontana montagna dove, circa dieci anni fa, il Pakistan ha condotto i suoi primi test nucleari allo scoperto. Evento considerato dai leader del paese – militari, laici e islamisti – come il loro successo più grande.

Ecco allora una umile proposta : compriamo il loro arsenale.

A.Q. Khan, il padre del programma nucleare (e artefice della nascita di qualche altro progetto) sottolinea sempre con orgoglio quale vera impresa sia stata quella di un paese “dove non riusciamo neanche a costruire la catena di una bicicletta” e che è riuscito in un compito di tecnologia così avanzata. Forse Khan esagera un po’: il Pakistan ha ottenuto la sua bomba in gran misura attraverso una combinazione di furti industriali, una violazione sistematica dei controlli dell’export occidentale, e un progetto cortesemente concesso da Pechino.

Eppure bisogna riconoscere un merito a Mr Khan: anche grazie ai suoi sforzi, infatti, un paese che ha visto impoverire gran parte della sua popolazione, che ha visto arricchire solo una manciata di membri delle elite, che è stato utilizzato come una base dai terroristi per attaccare i suoi vicini, che ha perso il controllo dei suoi servizi segreti, che ha radicalizzato un numero imprecisato di musulmani nelle sue madrase, che ha affidato la presidenza ad un uomo noto come Mr 10%, che ha diffuso la tecnologia nucleare in Libia e in Iran (tra gli altri), è riuscito tuttavia a raggiungere un potere degno di considerazione. Congratulazioni.

Ma se i pakistani hanno pensato che una bomba potesse costituire un vantaggio, hanno fatto male i loro calcoli. Sì, Islamabad è riuscita a porsi su un piano di parità con i suoi avversari a Nuova Delhi, ha guadagnato prestigio all’interno del mondo musulmano, e ha ottenuto il suo giorno di festa nazionale, che si celebra ogni anno il 28 maggio.

Quello che ancora il Pakistan non è riuscito a ottenere è un maggior livello di sicurezza. “La realtà più significativa è che le bombe hanno generato una cultura della violenza… che ha assunto la forma di un mostro dalle innumerevoli teste del terrore”, ha scritto all’inizio di quest’anno il fisico nucleare pakistano Pervez Hoodbhoy. "Con questa bomba, ora possiamo senza dubbio distruggere l’India ed essere distrutti a nostra volta. Ma la sua funzione si limita a questo".

Nel 2007, circa 1500 civili pakistani sono stati uccisi in attacchi terroristici. Nessuno di questi attentati è stato perpetrato dall’India o da uno qualsiasi degli altri paesi contro cui potrebbero essere puntate le testate del Pakistan, a meno che non miri contro se stesso. Ma il suo stesso arsenale nucleare lo ha reso un obiettivo invitante per i jihadisti che hanno fatto esplodere l’hotel Marriott di Islamabad lo scorso settembre e che farebbero volentieri saltare in aria tutto il resto della capitale come preludio alla presa di controllo del territorio.

Il giorno in cui accadrà potrebbe non essere così lontano. Il presidente Asif Ali Zardari è stato di recente negli Stati Uniti, dove ha avanzato una richiesta di 100 miliardi di dollari per evitare il collasso economico. Fino ad ora, la comunità internazionale ha messo insieme 15 miliardi di dollari. Dunque a Zardari mancano ancora 85 miliardi di dollari per raggiungere il suo obiettivo di raccolta fondi. Nel frattempo, in media un soldato di fanteria dei talebani ogni mese porta a casa uno stipendio superiore del 30% rispetto a quello del personale di sicurezza pakistana in uniforme.

Prevenire la disgregazione del Pakistan, forse sull’onda di una guerra con l’India (quanta moderazione potrà mostrare Nuova Delhi dopo le prossime atrocità stile-Mumbay?), rappresenterà la sfida più urgente in politica estera per l’amministrazione di Obama. Dato che il neo-eletto presidente ha già assicurato circa un milione di milioni di dollari nella nuova spesa nazionale, cosa saranno mai 100 miliardi per una causa come salvare il mondo?

Ecco l’accordo che ho in mente. Il governo del Pakistan dovrebbe eliminare, dandone prove verificabili, tutte le sue riserve nucleari e la base industriale che le sostiene. In cambio, gli Stati Uniti e altri donatori occidentali dovrebbero accordarsi per mettere insieme un pacchetto economico da 100 miliardi di dollari, amministrato da un’autorità indipendente ed erogato nel corso di dieci anni, a condizione che il Pakistan rimanga uno stato laico e democratico (senza sovrani militari e senza la legge della Sharia). Un tale pacchetto potrebbe inoltre essere integrato con degli aiuti militari simili a quelli che gli Stati Uniti forniscono a Israele: caccia F-35, carri armati M-1, elicotteri Apache. L’America estenderebbe anche la sua protezione nucleare al Pakistan, proprio come Hillary Clinton ha appena proposto di fare con Israele.

E’ solo una chimera? Non necessariamente. La gente dimentica che negli ultimi venti anni il mondo ha sì visto spuntare nuove potenze nucleari, ma ne ha viste sparire un numero maggiore: Kazakhstan, Bielorussia e Sud Africa hanno rinunciato tutti volontariamente alle proprie scorte nucleari negli anni Novanta. La Libia ha abbandonato il suo programma nel 2003 quando Moammar Gheddafi è giunto alla conclusione che una bomba avrebbe rappresentato una responsabilità troppo grande, e che aveva molto più da guadagnare venendo a patti con l’Occidente.

Non esiste alcuna valida ragione per cui Zardari e i suoi ufficiali militari non debbano giungere alla stessa conclusione, considerando le eccellenti condizioni di un simile accordo e le circostanze disperate. Di certo una larga parte di pakistani non sarà mai d’accordo. Altri, che hanno dovuto patire la fame per permettere che il Pakistan avesse la sua bomba, potrebbero adottare una visione più pragmatica.

La tragedia del Pakistan sta nel fatto che rimane un paese incapace di affrontare compiti elementari, come costruire la catena di una bicicletta. Se i suoi leader sono alla ricerca di prestigio, prosperità e una sicurezza duratura, allora dovrebbero cominciare a dar vita ad un’economia che permetta di costruire quella catena — dimenticandosi nel frattempo di come fabbricare la bomba. 

© The Wall Street Journal
Traduzione Benedetta Mangano