Il 2010 rischia di essere un altro anno nero  per l’economia mondiale

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Il 2010 rischia di essere un altro anno nero per l’economia mondiale

22 Aprile 2009

 

C’è poco da stare allegri, secondo il Fondo Monetario Internazionale. Nonostante le rassicurazioni provenienti da più parti, la crisi non ha ancora allentato la sua morsa. Entro il 2010 ci si deve attendere svalutazioni per oltre 4 mila miliardi di dollari, due terzi dei quali a carico degli istituti di credito.

Questo è quanto emerge dal Rapporto sulla Stabilità Finanziaria presentato dal FMI, che mira a chiarire quanto siano ancora presenti nei bilanci delle banche i toxic assets. Prendendo i soli Stati Uniti le stime sull’esposizione ai subprime è arrivata a 2.700 miliardi, rispetto ai 2.200 di gennaio ed ai 1.400 di ottobre. Le trimestrali positive di Bank of America, Goldman Sachs e JPMorgan Chase non devono sorprendere, dal momento che incorporano parte dell’enorme mole di liquidità che è stata riversata nei mercati per favorirne la stabilità. Il Troubled Asset Relief Program (TARP) ed il Public-Private Partnership Investment Program (PPIP) hanno finito con il ridurre le banche statunitensi a degli zombie, come ormai è consuetudine affermare d’oltreoceano. Difficile comprendere l’operato del Segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Secondo lui «La grande maggioranza delle banche statunitensi ha più capitali del necessario». Questa dichiarazione è bastata per scatenare l’euforia nelle piazze finanziarie mondiali, ma non ha sciolto i dubbi legati ai test sulla solidità patrimoniale degli istituti di credito americani. Legittimo chiedersi cosa sarebbe successo se ci fossero stati meno capitali in dotazione alle banche yankee.

Sul fronte europeo, la situazione migliora solo in base ai numeri in gioco. 737 miliardi di euro di svalutazioni sono attesi fino al 2010: i prestiti peseranno per 551 miliardi, mentre sono solo 286 le svalutazioni su titoli, meglio rispetto alla situazione statunitense. A patire sarà principalmente il mondo anglosassone, dopo un anno difficile per le banche inglesi. Royal Bank of Scotland, Lloyds e Barclays hanno chiuso il 2008 con molte difficoltà e le previsioni non sono positive per il 2009. Anche sul fronte di UBS, il colosso svizzero del private banking, il destino non è roseo. L’esposizione è elevata, numerosi tagli di organico sono all’orizzonte e si ipotizza una fuoriuscita dal tunnel più complicata del previsto. Differente la questione UniCredit. Il sistema bancario italiano ha mostrato una leggera resistenza al virus dei subprime, ma lo spettro delle svalutazioni è sempre vivo. La situazione dell’Est europeo può giocare a sfavore di Piazza Cordusio se i governi non decideranno linee d’intervento a supporto delle banche. Jacek Rostowski, ministro delle Finanze polacco, ha chiesto nei giorni scorsi oltre 20 miliardi di euro al Fmi per evitare un default del sistema bancario della Polonia. UniCredit quindi attende notizie dall’Est, mentre il resto dell’Italia pare dormire sonni poco disturbati.

Sul fronte delle imprese, ancora forte il credit crunch: «C’è stato qualche miglioramento sul mercato interbancario negli ultimi mesi, ma continuano a persistere difficoltà nel reperimento di fondi». Il rischio, in questo caso, è quello di una ripresa più lenta del previsto. La produzione industriale ha raggiunto livelli molto bassi, deteriorandosi mese dopo mese. Il crollo degli ordinativi registrato in Italia in dicembre è uno dei sintomi di una crisi industriale assai più pesante di quanto immaginato nel settembre 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers. La stagnazione dei finanziamenti alle imprese non accenna a terminare, con buona pace di chi afferma che la restrizione del credito sta terminando.

Il Fmi continua nel suo rapporto e registra che la reazione dei governi è stata adeguata, ma che deve continuare con decisione soprattutto per combattere l’ascesa del debito pubblico. Solo in Italia, il debito arriverà al 121 per cento del prodotto interno lordo, dal 106 per cento del 2008. Valori in aumento anche per la Germania, dove aumenterà del 19 per cento fino all’87 per cento del Pil, e per la Francia (80 per cento nel 2010, +13 per cento rispetto al 2008). Ma la situazione peggiore è quella del Giappone. Dopo la crisi degli anni Novanta, che ha portato ad una politica monetaria di tassi pari allo zero, Tokio sta vivendo un altro momento complicato. Il debito pubblico aumenterà del 30 per cento rispetto al 2008, raggiungendo la quota del 227 per cento del Pil. Il governo nipponico ha stanziato nei giorni scorsi oltre 110 miliardi di dollari con l’emissione di bond per quasi 11 mila miliardi di yen. Il sentore è che nemmeno questo potrà bastare per risollevare il paese del Sol Levante.

Secondo l’istituzione guidata da Dominique Strass-Kahn, «Senza una totale ripulitura dei bilanci bancari, in termini di asset tossici», non si può uscire dalla crisi. Secondo il Fondo, le banche che hanno ancora margini di gestione possono essere ricapitalizzate, mentre «Si devono liquidare quelle per le quali non c’è più speranza». Inoltre, deve essere iniziato un piano di riorganizzazione e ricapitalizzazione del sistema, secondo modelli differenti a quelli finora utilizzati. Il diniego della finanza derivata è implicito, dato che non ci si deve dimenticare che il deterioramento dei bilanci è iniziato proprio dalla svalutazione di titoli ipotecari cartolarizzati. Ma non si deve confondere il colpevole con la vittima. Non è tanto lo strumento ad essere negativo, ma il suo utilizzo. In quest’ottica, e solo in questa, è possibile ripristinare un sistema bancario virtuoso. Modificando solamente il gioco, ma non i suoi giocatori, ci si ritroverebbe con distorsioni analoghe a quelle vissute dal 2003 al 2007 nel mercato immobiliare americano.