Il 2011 sarà all’insegna delle tensioni. Ripresa sì, ma debole e frammentata

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Il 2011 sarà all’insegna delle tensioni. Ripresa sì, ma debole e frammentata

Il 2011 sarà all’insegna delle tensioni. Ripresa sì, ma debole e frammentata

03 Gennaio 2011

 

Il 2010 doveva essere l’anno della ripresa, è stato quello dell’austerity. Gli ultimi 12 mesi sono stati caratterizzati dall’evoluzione della crisi finanziaria internazionale, divenuta prima economica e poi statale. Da un lato gli Stati Uniti stanno combattendo con un’economia che stenta a ripartire. Dall’altro l’Europa sta cercando di guarire dall’epidemia dei debiti sovrani in cui è sprofondata dopo il crollo di Grecia e Irlanda. In mezzo l’Italia, eternamente combattuta fra una crescita anemica e un indebitamento in ascesa. Archiviata la definizione di exit strategy, per l’economia globale il 2011 si appresta a essere più duro dell’anno precedente. Infatti, oltre a definire il nuovo assetto mondiale della regolamentazione finanziaria, i governi mondiali devono anche porre fine all’emorragia di denaro pubblico e all’impennarsi della disoccupazione. Si tratta però di una ferita che viene da lontano.

A fine 2009 c’è stata l’esplosione della crisi greca, culminata nel maxi intervento da 110 miliardi di euro da parte di Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi), avvenuto in maggio. I primi vacillamenti dell’economia ellenica sono avvenuti nello scorso dicembre, ma in pochi avrebbero immaginato un epilogo così devastante. Colpa di una finanza pubblica ballerina, un sistema bancario precario e una corruzione dilagante. Ma colpa anche dei magheggi contabili compiuti dal governo greco insieme con la banca d’affari statunitense Goldman Sachs, capace di procrastinarne i debiti tramite operazioni ardimentose. Solo con misure draconiane sul piano statale il primo ministro George Papandreou è riuscito a ottenere il sostegno finanziario internazionale, ma rimangono comunque i dubbi sul raggiungimento degli obiettivi di bilancio.

Dopo Atene, Dublino e poi chissà. Con la caduta della Grecia, sono emerse tutte le malversazioni in cui versano le economie europee. Irlanda, Portogallo, Spagna, Ungheria: sono queste le nazioni che hanno vissuto, in modo più o meno aggressivo, la furia degli investitori. Quest’ultimi, in cerca di un porto sicuro, hanno dirottato i propri interessi verso Germania e Francia, lasciando nel baratro i più deboli. Così, quella che era una crisi immobiliare nata negli Usa, si è trasferita all’Europa in maniera dirompente, costringendo Bruxelles a interventi via via più straordinari al fine di mantenere la stabilità dell’euro. E la reazione è stata forte. Lo European financial stability facility (Efsf), il fondo europeo di stabilizzazione finanziaria da 750 miliardi di euro (di cui 440 appannaggio dell’Ue, il resto di Bce e Fmi), ha proprio questo obiettivo.

Il primo utilizzo dell’Efsf è stato a Dublino. Infatti, proprio l’Irlanda che era considerata, per vigore economico e snellezza legislativa, la tigre celtica, è caduta nella morsa del debito. Nel corso del 2010 il disavanzo di bilancio si è impennato al 32 per cento del Pil, oltre 10 volte i parametri di Maastricht. La soluzione si è raggiunta solo poche settimane fa e ha visto nuovamente protagonisti il Fmi e la Bce. Ma c’è già chi, come l’economista della New York University Nouriel Roubini, afferma che gli 85 miliardi di euro stanziati a favore di Dublino non potranno arginare l’epidemia del debito irlandese. E dopo? Il percorso è già tracciato, secondo la banca britannica Barclays Capital, che in un’analisi di inizio dicembre lascia poco spazio ai sorrisi: “Dopo la Grecia e l’Irlanda, salteranno il Portogallo, stritolato dall’immobilismo politico, e la Spagna, soffocata dalla bolla immobiliare. Poi, se l’Eurozona sopravviverà, toccherà all’Italia”.

La ricerca di una continuità nella ripresa economica è stato il leit motiv in Europa, come negli Stati Uniti. Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, di fronte allo spettro di una stagnazione dell’economia americana ha varato un nuovo piano di stimoli monetari, il Quantitative easing 2, acquistando titoli di Stato per oltre 600 miliardi di dollari. Eppure, il responso dei mercati finanziari è stato tiepido. Analogamente, anche la Bce ha continuato a inondare l’Eurozona di liquidità. Duplice l’obiettivo: calmierare le tensioni sui debiti sovrani e far ripartire il ciclo dei consumi. Nemmeno questo però è bastato. E a Francoforte stanno già pensando a nuove soluzioni.

C’è poi l’Italia. Considerata dalla stampa internazionale come una delle nazioni più a torto colpite dalla furia dei mercati, sta però vivendo una fase controversa. Se da un lato il deficit è rimasto quasi invariato al 5,3 per cento del Pil, dall’altro la crescita è anemica e il debito ha sfiorato il 1.850 miliardi di euro. Se a questo quadro aggiungiamo la bagarre politica iniziata in estate, le previsioni non possono essere rosee. Certo, le agenzie di rating non hanno in programma una revisione del loro giudizio, ma l’incertezza è quanto di peggiore un investitore possa attendersi da una nazione. A tal punto che la casa d’affari Bank of New York Mellon, in un report dello scorso novembre, ha definito “imprevedibile” la congiuntura italiana. “Il debito per l’Italia non è un problema, ma se ci dovesse essere un cambio nella guida politica, potrebbe essere utile cercare di trovare soluzioni più sicure”, spiega la banca statunitense. In altre parole, meglio continuare con la strada intrapresa.

Sul fronte della regolamentazione molto è stato fatto, ma non abbastanza. Il presidente del Financial Stability Board (Fsb) e governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ai G20 di Pittsburgh e Seoul ha posto le basi per un rinnovamento della finanza globale, ma le nuove regole sono ancora lungi dall’essere legge. Quello che è sicuro è che ora la maturità delle economie emergenti – Brasile, Russia, India e Cina su tutte – è completa. Non è un caso quindi che siano i paesi Bric a essere la vera locomotiva globale.

Il 2011 che ci attende non vedrà ancora l’exit strategy. Come ha sottolineato a fine novembre la lobby dei banchieri europei, l’Association for Financial Markets in Europe (Afme), “siamo in un periodo di transizione da un modello finanziario a uno nuovo, ancora completamente da definire”. Tuttavia, ricorda l’Afme, “fintanto che non saranno finite le tensioni internazionali non si potrà pensare di comprendere quale strada intraprendere”. Il problema è che nulla sembra essere in grado di tranquillizzare i mercati. L’impressione è che, più che ad arginare un contagio finanziario, nel 2011 i governi si troveranno a combattere contro una pandemia globale.