Il “basta panico” di Conte che ora trema per l’economia. Bene, ma allora addrizzate la comunicazione.
18 Ottobre 2020
A certificare il cambio di rotta, dopo le avvisaglie dei giorni scorsi, è stata la prima pagina domenicale del “Fatto Quotidiano”. Quando il giornale considerato più vicino agli orientamenti del premier, fin qui intento a bastonare chiunque osasse discostarsi dalla linea del “moriremo tutti”, spara a caratteri cubitali un eloquente “basta panico”, corredato da un raffronto dei dati per dimostrare la differenza abissale tra il quadro epidemico attuale e quello della scorsa primavera, vuol dire che – per usare un’espressione cara ai pentastellati – il vento sta cambiando per davvero. Vuol dire che il capo del governo teme un tracollo economico e sa che i margini per scongiurarlo si vanno restringendo ogni giorno di più. Vuol dire che se ne esce soltanto se il rispetto delle regole (possibilmente sensate) si inserisce in un quadro di ritorno alla vita che non può limitarsi, come vorrebbe il ministro Speranza, alle sole “attività essenziali”, non foss’altro per il semplice fatto che anche le “attività non essenziali” significano imprese e posti di lavoro, evidentemente essenziali per chi li occupa.
Il “basta panico” è senz’altro una buona intenzione. Perché diventi effettiva, tuttavia, c’è bisogno di un urgente cambio di rotta. Anche e soprattutto in termini di comunicazione. L’emanazione di norme proporzionate e sostenibili ne è ovviamente una premessa obbligata. Ma non basta. Perché alle regole ci si adatta, alla paura no. Perché orari e abitudini si possono modulare, ma se il lockdown ti entra nella testa resterai chiuso in casa anche con i locali aperti ventiquattr’ore al giorno. Perché i dpcm pubblicati in Gazzetta Ufficiale possono essere i più equilibrati di questo mondo, ma se la loro ufficializzazione è preceduta da una settimana di stillicidio e di indiscrezioni mediatiche terrorizzanti – magari alimentate dall’interno del governo stesso per far vedere che alla fine si è ceduto e rendere più accettabili le restrizioni effettivamente imposte – il danno prodotto è già incalcolabile, e parliamo dell’ordine di miliardi.
A questa svolta annunciata vogliamo credere. Ma allora la si traduca immediatamente in atti concreti. Si dica chiaramente ai cittadini che non sono i luoghi a portare contagio, ma i comportamenti (segnaliamo a tal proposito un video del sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, da manuale di comunicazione istituzionale). E che dunque se ci si comporta correttamente si può andare con tranquillità ovunque si trovi una saracinesca sollevata. Si dica che sebbene alcune restrizioni siano reputate necessarie, tutto ciò che è consentito dalle regole è sicuro dal punto di vista sanitario.
Tutti, a cominciare dai virologi, valutino il peso delle parole pronunciate: evocare un lockdown a Natale non è ad esempio una buona idea. Perché a fronte di una prospettiva del genere, a molti viene da pensare che allora è meglio mettercisi subito, in lockdown, per togliersi il dente e sperare di tornare a lavorare in pace fra qualche settimana. Ma siccome anche questa strada non è facilmente percorribile, perché i tempi dell’epidemia non sono prevedibili e se si rientra nel tunnel della chiusura totale nessuno può garantire una rapida uscita, il risultato è che la testa delle persone ci si mette da sola, in lockdown. Che locali e negozi si svuotano, senza neanche che vi sia un’imposizione in tal senso e senza dunque la speranza di un ristoro. Che, nel giro di poco tempo, le saracinesche si abbassano per non rialzarsi più.
Cogliamo dunque il “basta panico” come un segnale di speranza e una manifestazione di buona volontà. Ma tutti gli attori in campo – politici, tecnici, giornalisti, virologi – addrizzino la comunicazione sapendo che stavolta c’è davvero di mezzo la sopravvivenza del nostro Paese. L’invito a produrre regole equilibrate è scontato. Ma come le si annuncia, come le si spiega e come se ne controlla il rispetto è altrettanto importante, se non di più. Basta panico e davvero andrà tutto bene.