Il bello delle cooperative è che possono farci uscire dalla crisi
27 Gennaio 2014
Dall’inizio della crisi nell’autunno del 2008 è emerso in modo evidente quanto sia necessaria da parte delle principali economie internazionali una seria riflessione sulle cause che hanno portato ad una fase di prolungata e profonda recessione dell’economia e quanto sia urgente ripensare quel modello di sviluppo che ha accompagnato la crescita delle economie nel corso degli ultimi 20 – 30 anni.
Un modello di sviluppo, quello finora proposto ed esaltato, che per effetto anche della globalizzazione ha, infine, prodotto un divario sempre maggiore fra i diversi segmenti della società e l’affermazione di rapporti deboli e frammentati nel mondo del lavoro, generando così un clima di diffusa incertezza che si è, inevitabilmente, riflesso, e tuttora si sta ancora riflettendo, in negativo sul tessuto sociale profondo delle principali economie internazionali.
Ciò che la crisi finanziaria ha reso evidente è la necessità di promuovere uno sviluppo sostenibile ed inclusivo capace di raccogliere la partecipazione di un numero ampio di persone, uno processo di sviluppo all’interno del quale ognuno possa sentirsi parte in causa e che non miri esclusivamente al bene individuale ma possa considerare quest’ultimo una conseguenza naturale di quello che deve essere il bene comune di una comunità.
La forma giuridica dell’impresa cooperativa rappresenta tutto questo e anche di più, meritando una maggiore attenzione da parte sia delle istituzioni che dell’opinione pubblica. L’essere coscienti delle difficoltà che ormai da cinque anni sta attraversando la nostra economia permette di comprendere ancora meglio il ruolo della cooperazione e la sua genesi.
Dove spesso i modelli eccessivi e sperequativi come quelli basati sulle stock options e su una visione limitata, circoscritta e di breve periodo dei risultati economici, hanno lasciato in eredità la desertificazione di quello che era il contesto sociale all’interno di un territorio e di una comunità, proprio l’ideale cooperativo e la sua capacità di aggregazione di persone, di condivisione delle risorse e di proposizione di idee ha permesso di riproporre quelle condizioni di rinnovata coesione sociale ed assicurare una prospettiva di sviluppo diversa e caratterizzata da una partecipazione diffusa, proprio perché nata con il fine di aggregare gli individui e di offrire una risposta ai bisogni collettivi oltre che individuali.
Questo è il motivo per il quale l’impresa cooperativa ha sperimentato negli ultimi anni un processo progressivo di sviluppo e di consolidamento, riuscendo a fornire a tutti, e non a pochi, risposte alle necessità più urgenti della collettività.
I dati riportati nell’ultimo rapporto Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises) confermano quanto appena detto. Il confronto, infatti, tra i dati Istat relativi agli ultimi due censimenti dell’industria e dei servizi riportato all’interno del rapporto indica come tra il 2001 ed il 2011 il numero delle imprese cooperative sia cresciuto ad una velocità superiore a quella delle aziende classificate sotto una diversa forma giuridica, sottolineando, quindi, l’importanza crescente del ruolo della cooperazione all’interno dell’economia italiana.
Oggi, le cooperative ammontano ad oltre 50.000 unità, rappresentano un valore della produzione di circa 120 miliardi di euro (ad esclusione del settore creditizio) e forniscono occupazione a 1.750.000 persone, fornendo alla formazione del PIL un contributo pari al 10%. Inoltre, le società cooperative hanno registrato un aumento del grado di patrimonializzazione e migliorato la propria sostenibilità economica e finanziaria. Il confronto con le altre forme d’impresa che l’Euricse presenta nel suo rapporto mette in luce come dal 2006 al 2010 il valore aggiunto delle aziende cooperative sia cresciuto del 25%, contro il 7% delle società per azioni, ed i redditi del 30% (13% per le SpA).
Il dato più importante dell’analisi è che qualora si scompongano queste variazioni per tenere conto dei diversi fattori come la collocazione geografica dell’impresa, la dimensione, il settore di attività economica, emerge come l’elemento più importante nella spiegazione di tali differenze sia da individuare quasi esclusivamente alla diversa forma societaria a conferma di come condivisione, partecipazione ed il perseguimento di obiettivi di lungo periodo aventi come fine quello di salvaguardare l’interesse dei soci e dell’ambito locale di cui i soci sono parte integrante possano allo stesso modo offrire risultati economici ampiamente soddisfacenti.
La nascita di nuove società cooperative ha permesso di mitigare i dati negativi riguardanti il mercato del lavoro, determinando per le aziende cooperative una crescita netta degli occupati e contrastando in questo modo l’ascesa del tasso di disoccupazione provocata dalla diminuzione degli addetti nelle altre forme d’impresa.
Tutto ciò, evidenzia come proprio negli ultimi anni di recessione, le imprese cooperative abbiano svolto un’importante ruolo anticiclico con variazioni positive sia per quanto riguarda l’attività produttiva che i livelli d’investimento, arginando gli effetti recessivi del ciclo economico.
Questa funzione di stabilizzazione non solo economica ma anche sociale è stata svolta anche dalle Banche Popolari, che sono parte integrante della Cooperazione Bancaria mondiale, e che rappresentano il primo esempio di intermediari creditizi di matrice cooperativa del nostro Paese.
Ogni anno, infatti, le Popolari destinano alle aziende medio-piccole, che rappresentano oltre il 70% della loro clientela imprese, circa 40 miliardi di euro di nuovi finanziamenti, un flusso che nel corso degli anni si è mantenuto sostanzialmente costante ed indipendente dalle fluttuazioni del ciclo economico. Il Credito Popolare ha mostrato un’attenzione particolare per il territorio e per le realtà economiche locali derivante dalla loro matrice cooperativa e che ha permesso loro di essere ampiamente radicate a livello locale e di comprendere e rappresentare meglio le istanze delle diverse comunità di riferimento.
Prova ne è la distribuzione del portafoglio impieghi che per oltre il 50% nel caso delle Popolari si concentra in aree dove prevale la presenza delle PMI (30% il dato per le altre banche), mentre nei grandi centri urbani tali valori risultano completamente rovesciati (33% per le Popolari e 60% per le altre banche).
L’ideale cooperativo che permea l’operatività delle Popolari ha origini lontane e proprio per questo le sue radici risultano essere ancora più forti, più radicate e salde. Tutto ciò rappresenta un patrimonio per il Paese, come evidenzia lo stesso rapporto dell’Euricse, non bisogna dimenticarlo se non si vogliono velocemente ripetere gli errori commessi in un passato fin troppo recente e ancor più presto accantonati e dimenticati.