Il Brasile aiuta tutti: Battisti, le FARC ed Hezbollah
04 Gennaio 2011
La neutralità in politica estera del Brasile era tramontata già da prima del rifiuto di estradare in Italia l’ex terrorista Cesare Battisti, tanto da spingere l’ex ambasciatore Usa, Clifford Sobel, a definire "ideologica" la posizione del governo Lula nel contenzioso aperto con lo stato italiano, come c’informa uno dei dispacci resi noti da WikiLeaks.
Quello di Battisti infatti non è il primo caso di "asilo politico", a dir poco scomodo, concesso dalle autorità brasiliane. Se restiamo agli "esuli" provenienti dall’Italia, Rio de Janeiro è stata una tana sicura anche per l’ex militante di Potere Operaio Achille Lollo condannato e ricercato per la strage di Primavalle. Come pure per il re dei rapinatori inglesi Ronnie Biggs, che nella capitale del divertimento carioca ha dilapidato le sue fortune miliardarie, organizzando ricevimenti a pagamento in cui narrava le sue avventure da Arsenio Lupin. Ben più grave, l’ospitalità concessa all’ex dittatore fascista del Paraguay, Stroessner, di origini tedesche e ammanicato con la diaspora nazista in Sudamerica.
Questa rimarchevole ma comunque legittima disponibilità all’"asilo facile" – non dimentichiamo che si tratta pur sempre di scelte prese da uno Stato sovrano – si riflette nella politica estera più generale del Brasile. La "tripla frontera" con l’Argentina e il Paraguay è diventata una delle grandi cassaforti mondiali in mano ai cartelli del narcotraffico e al fondamentalismo islamico. Uno dei cable di Assange fa sapere che il governo Lula avrebbe nascosto l’arresto di "presunti terroristi" islamici per evitare che la stampa potesse ficcare il naso nella questione.
Ed è sempre dagli ambienti della intelligence carioca che sono emerse delle complicità fra il partito dei Lavoratori di Lula e le FARC, i gruppi rivoluzionari colombiani che hanno trovato il loro santuario nel Venezuela di Chavez. Il partito di Lula si rifiuta di condannare le FARC come un’organizzazione di stampo terrorista ed ha giustificato la propria posizione accreditandosi come un mediatore nel conflitto combattuto dai gruppi insurrezionali colombiani. Le FARC fanno parte del "Foro de Sao Paulo" dall’inizio degli anni Novanta dove si racconta di incontri fra le autorità brasiliane e i rivoluzionari con le mani nel mercato della droga.
L’impressione è che il Brasile abbia scelto la strada più fruttuosa nella scalata all’egemonia internazionale: diventare uno dei capofila delle potenze emergenti e accreditarsi come un Paese in grado di dialogare anche con quegli Stati, organizzazioni, singoli individui, che hanno votato la propria esistenza alla lotta contro l’Occidente. Si pensi all’avvicinamento rapidissimo alla teocrazia iraniana: Lula ha votato contro la Risoluzione Onu che prevede le sanzioni contro il nucleare di Teheran.
L’Unione Europea, ad esempio, per bocca del premier portoghese Socrates, ha fatto sapere che il "caso Battisti" aperto con l’Italia non pregiudicherà le relazioni economiche e diplomatiche fra Brasilia e Bruxelles. L’India, la Cina, il Sudafrica sono stati altri obiettivi diplomatici di Lula, che riconoscendo lo stato Palestinese si è ingraziato anche la comunità del mondo arabo e musulmano.
Da una parte il desiderio di conquistarsi un posto fra le potenze che contano, anche attraverso scelte controverse e che scatenano non pochi mal di pancia nelle cancellerie internazionali. Dall’altra la necessità di preservare ed ampliare i propri interessi economici nel mondo. Tutto questo può spiegare il protagonismo del Brasile e lo schiaffo al governo italiano sull’estradizione a Battisti.