Il buonismo alla Sergio Romano non serve alla convivenza civile

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Il buonismo alla Sergio Romano non serve alla convivenza civile

Il buonismo alla Sergio Romano non serve alla convivenza civile

23 Novembre 2007

Il signor Paolo Codecasa  scrive una “lettera al Corriere” indirizzata a
Sergio Romano per manifestare tutto il suo
sconcerto di homo europaeus sconvolto
dalla lettura del “Corano”– “L’ho letto quattro volte perché non credevo ai
miei occhi”– e per chiedere se esso non “esprima una dottrina pericolosa per
l’umanità”. Dei versi (davvero ‘satanici’!) da lui riportati, cito solo il
2/191 che invita alla   violenza contro gli infedeli: “ammazzateli
ovunque essi s’incontrino! Fateli uscire da dove essi vi hanno cacciato! La
persecuzione è più forte della strage. Non combatteteli presso la moschea, a
meno che essi ci diano battaglia in quei paraggi:ché se in verità vi attaccano,
uccideteli! Questa è la fine degli infedeli”.

Rivolgendosi a un fine analista di
cose politiche, come l’ambasciatore Romano, ci si sarebbe aspettata una
risposta di questo genere: “Caro Codecasa, Le risulta che i versetti da lei ricordati
vengano davvero insegnati e fatti recitare nelle scuole islamiche? E se questo
avviene in quali madrasse? Nelle moschee italiane i credenti apprendono il loro
messaggio di odio e di intolleranza? E vi sono dati sicuri che confermano
quanto sure come l’8/7 1 –  “Dio
intendeva manifestare la verità per mezzo del suo verbo e sterminare gli
infedeli fino all’ultimo”– abbiano contribuito ad infiammare gli animi dei
kamikaze?”. Ad un realista che si sia formato alla scuola del grande Gaetano
Salvemini – implacabile fustigatore del
chiacchiericcio ideologico inconcludente – 
stanno a cuore i fatti e solo i fatti. Non gli interessa il contenuto
della fede ma la sua “pratica”, non “che cosa hanno veramente detto Cristo,
Maometto, Buddha e quant’altri” ma come sono state interpretate le loro parole
e come viene vissuto il loro messaggio di redenzione. Il realista, insomma, è
non è un teologo ma un sociologo della religione, non appartiene alla razza dei
Karl Barth ma a quella dei Max Weber.

Per questo ci è parsa non poco
deludente la risposta di Romano al suo lettore (9 novembre u.s.). Il professore/ambasciatore,
infatti, se non ha parlato da teologo ha parlato, per lo meno, da storico delle
religioni. “Il ‘Corano’ – ha scritto –  come
ogni testo sacro contiene anche numerosi messaggi ispirati da sentimenti di
carità, amore, misericordia. Ma preferirei riprodurre altrettante citazioni
dall’Antico Testamento”. E qui una sfilza di citazioni dotte a dimostrare che
se “Il Corano” non aveva la mano leggera con gli infedeli, la “Bibbia” non era
certo da meno. Anche qui trascrivo un solo esempio:  “Giosuè, 6. Presa di Gerico”: “Sterminarono
tutto quanto era nella città, uomini e donne, giovani e vecchi, perfino i buoi
e gli asini passarono a fil di spada”.

A ben riflettere, questo scambio di lettere
rivela qualcosa di inquietante, un virus
letale che si è insinuato nella nostra cultura e che potremmo definire il
riflesso condizionato della par condicio
sempre, comunque e dovunque. Ormai non si può parlare più di nulla, non si può
avanzare un dubbio, esprimere una perplessità sul sentire e sull’agire dell’”altro in mezzo a noi” senza venir
richiamati a guardare dentro noi stessi, dentro la nostra storia, dentro la
nostra violenza rimossa. Ti fa spavento il massacro dei duecentomila algerini
da parte dei tagliagole islamici? Ebbene, pensa a quello che hanno fatto i
giacobini in Vandea, ai 250 mila massacrati su ordine di Lazare Carnot (“Bisogna
massacrare le donne perché non riproducano e i bambini perché sarebbero i
futuri briganti”). Ti meravigli che Maometto di sua mano abbia sgozzato centinaia
di infedeli? Ebbene pensa a San Domenico di Guzman, che “negli sterpi eretici
percosse” ovvero predicò la crociata sterminatrice degli Albigesi!

Ma ha davvero senso questa tiritera buonista e
“multiculturalista”? E, inoltre, senza 
entrare in dispute teologiche, mi chiedo come mai Romano non abbia citato
un solo passo dei Vangeli a riprova
della sua diplomatica saggezza “violenza di qua, violenza di là”.  Quanti, come lo scrivente, hanno ricevuto
nella prima infanzia e nell’adolescenza un’educazione cattolica, tutt’al più
hanno letto– e nell