Il campo di battaglia

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Il campo di battaglia

09 Febbraio 2006

Così come la rivolta delle periferie parigine, anche la vicenda delle vignette satiriche danesi dice molto del clima morale e politico che si respira nel vecchio continente. Ieri, dopo settimane di proteste violente, attacchi alle ambasciate, scontri e minacce, alcune andate a segno come nel caso dell’assassinio di don Andrea in Turchia, è stata l’amministrazione americana ad alzare la voce e chiedere ai governi arabi di porre freno a tutto questo. Prima ha parlato George W Bush: «Chiedo ai governi di fermare la violenza, di essere rispettosi, di proteggere le proprietà e le vite di innocenti diplomatici». Poi è intervenuta anche il segretario di Stato, Condoleezza Rice: «Non ho dubbi sul fatto che Siria e Iran hanno infiammato i sentimenti e tentato di far fruttare tale vicenda a loro vantaggio».

Bush e Rice hanno parlato perché l’Europa tace. Eppure in questo caso le ambasciate americane non sono toccate; non bruciano le bandiere a stelle e strisce ma quelle con la croce di Danimarca e Norvegia, e neppure le ambasciate europee sul suolo americano subiscono assalti. Ma sono gli americani, non i governi europei a far sentire la loro protesta.

La Danimarca in Europa è lasciata sola a fronteggiare la marea montante dell’odio: non si sono viste convocazioni straordinarie del Consiglio o del Parlamento Europeo, i governi non hanno richiamato i propri ambasciatori dai paesi in cui le ambasciate sono state incendiate e le parole di condanna verso le violenze o di solidarietà verso chi le subisce sono state poche e ambigue.

Eppure dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il conclamato scontro di civiltà ha come campo di battaglia elettivo proprio l’Europa, con i suoi milioni di immigrati musulmani, con le sue labili frontiere, con la sua prudenza e irresolutezza che nei paesi arabi sono immediati sinonimi di paura e debolezza. Non siamo più ai tempi della guerra fredda, quando l’Europa era al massimo terreno di trame e di spie ma erano America e Russia a fronteggiarsi senza esclusione di colpi. Oggi è in Europa che lo scontro ha luogo, è qui che si vince o si perde.

La Chiesa ha il dovere evangelico di porgere l’altra guancia e la capacità di trasformare il sangue dei suoi martiri nel seme della riconciliazione.

La politica ha altri orizzonti e altri doveri. Dovrebbero saperlo per primi coloro che temono ingerenze e commistioni e tremano per le sorti dello stato laico. Cosa sono davvero disposti a fare per difenderlo?