Il canto del cigno di Assange

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Il canto del cigno di Assange

03 Settembre 2011

Oggi i custodi del grande giornalismo internazionale, il Guardian, lo Spiegel, il New York Times, El Pais, tutte le testate che avevano collaborato con Assange e creduto che fosse una persona responsabile, si stracciano le vesti, oscurano WikiLeaks, criticano con feroce risentimento la decisione definitiva del cyber-pirata di divulgare gli ultimi cablo inviati da uffici e personale diplomatico americano al Dipartimento di Stato, in un periodo che va dalla fine degli anni Ottanta ad oggi.

Reporter Senza Frontiere, che più di altri aveva sostenuto i vantaggi e la democraticità del whistleblower, rivendica il sacro principio della storia del giornalismo: rispettare l’anonimato e la sicurezza delle fonti, preservandole da possibili minacce e ritorsioni. Durante la prima ondata di cablo e warlogs, l’anno scorso, la crema del giornalismo globale aveva cercato un riscontro alle informazioni fornite da Assange, tutelando nomi e identità di persone che avrebbero potuto essere messe in pericolo dalla diffusione delle notizie, ma stavolta Assange e i suoi discepoli – gli assolutisti del concetto di trasparenza e condivisione del web – sono andati oltre il confine consentito, pubblicando in Rete la nuova ondata di cablo senza “censure”, come ritengono di chiamarle.

E’ vero che finora non si hanno notizie di informatori che siano stati perseguitati da chicchessia, ma il rischio è alto, dai chierici sciiti che ora potrebbero essere puniti dalla monarchia Saud, agli uomini d’affari iraniani che dialogano con l’Occidente, per non dire del gossip politico che rischia di infangare più di una carriera tra Europa e America. Chi esaltava il modello libertario di Assange oggi ne scopre i limiti anarchici, quelli egoici ed erratici del suo fondatore, e la “metà oscura” del web, con le sue cospirazioni e falsificazioni e distorsioni varie, di colpo spaventa, spingendo coloro che si erano addentrati nella “seconda  realtà” della intelligence a ritirarsi con le dita scottate, provando quasi un senso di repulsione dinanzi al golem informatico che loro stessi hanno contribuito a sollevare.

WikiLeaks si scopre quindi per quello che è, uno strumento offensivo e sovversivo, ma c’è una novità. Quando anche questa bufera sarà passata, quando WikiLeaks verrà completamente delegittimato dalla grande stampa internazionale, corroso dalle invidie e dalle rivalità interne, dopo che avrà perso i preziosi “donors” che hanno aiutato Assange a costruire il suo mito, allora il sito più famoso del mondo (che già non esiste più, deframmentato nella galassia del Web) non sarà più come prima. Diventerà meno credibile e pericoloso. L’ultimo scherzetto costerà caro ad Assange: lui inseguito dalla giustizia, il sergente Bradley che rischia di veder peggiorare ancora di più la sua situazione, e quei governi che dovevano cadere sotto i colpi della "verità" sono ancora tutti al loro posto.

Tutto si risolverà in una grande fiammata di anarchismo virtuale, senza produrre un movimento più strutturato e capace di orientare l’opinione pubblica verso quella opaca rivoluzione tanto auspicata da Assange.