Il capitolo esodati non si chiude affatto con la soluzione della sinistra e di Damiano

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Il capitolo esodati non si chiude affatto con la soluzione della sinistra e di Damiano

15 Ottobre 2012

A commento della mia rubrica dello scorso 8 ottobre un certo sig. Antonio (ovvero un anonimo e gli anonimi sono sempre un po’ vili) mi accusa di avere la pancia piena e di non occuparmi di quelli che l’hanno vuota tanto da essermi macchiato della colpa infame di non aver sottoscritto ed appoggiato il pdl AC 5103 a prima firma Damiano (la nuova Bibbia su cui giurare per essere considerato un parlamentare degno). Premesso che avere la pancia piena non è un reato, soprattutto se si è nati poveri e se il relativo benessere di cui si dispone,  ormai arrivati alla  fine della vita,  lo si è guadagnato mettendo a frutto quel po’ di talento di cui madre natura chi ha dotati con l’aggiunta di mezzo secolo di duro lavoro (magari con la fortuna di una discreta salute), la sgradevolezza del mio interlocutore mi fornisce un’ulteriore occasione per chiarire la mia posizione sul problema dei c.d. esodati, ormai assurto ad emergenza nazionale. Comincerò ponendo una domanda.

Se tutti i partiti di maggioranza e di opposizione condividono il pdl Damiano (il quale insiste sempre nel ricordare questa unanimità) perché il provvedimento è destinato ad abortire o, bene che vada, a ridimensionarsi di parecchio? Bastano le perplessità di un solo deputato su 630 (il sottoscritto) per bloccare tutto oppure ci sono questioni oggettive talmente importanti da vanificare  l’impegno profuso dai partiti e dai comitati delle diverse categorie di esodati?

Capirei le proteste se, in una votazione testa a testa, il mio voto avesse fatto prevalere lo schieramento contrario a risolvere il problema. Ma non è così: anzi, se si fossero trovati i 30 miliardi necessari a dare la copertura finanziaria richiesta, io sarei stato ben felice di votare a favore del provvedimento.  Ben altro è il punto che non riesce ad entrare nella testa di quanti se la prendono con chi, come chi scrive, si è premurato di evidenziare la complessità del problema, sfidando l’impopolarità anziché fare promesse demagogiche. Ma riportiamo indietro la moviola della cronaca. La riforma Fornero, tra i tanti meriti, ha sicuramente il grave difetto – l’ho detto al ministro in Aula come risulta dall’intervento che si può ascoltare sul mio blog www.giulianocazzola.it – di non essersi fatta carico di un’adeguata fase di transizione. Da quel momento, si è aperto un confronto con il ministro e il governo per allargare la platea dei casi da salvaguardare. Proprio alla Camera abbiamo strappato un impegno in questa direzione pur essendo sempre costretti a misurarci con il problema delle coperture, un vincolo che non possiamo evitare.

In tale contesto, io avevo sottoscritto il testo iniziale del pdl AC 5103 Damiano perché si proponeva di risolvere un paio di questioni prioritarie (una delle quali poi ha trovato risposta all’interno dei 55mila casi aggiunti nella spending review). Poi quando ho visto che il provvedimento si caricava di troppe aspettative e salvaguardie (alcune delle quali discutibili), in seguito alle audizioni dei sindacati e al contributo delle opposizioni, ha capito subito che non si sarebbe arrivati da nessuna parte. Io forse sbaglierò, ma credo che la politica debba essere onesta e non ingannare la gente soltanto per fare bella figura.

Ma veniamo al 7 agosto. In precedenza c’era stata la vicenda della spending review al Senato dove il governo aveva destinato circa 4 miliardi al tema esodati. I gruppi della maggioranza aveva chiesto una modifica assolutamente sensata e giusta riguardante l’estensione dei benefici anche agli accordi stipulati in periferia e comunicati al governo. Questa modifica non era passata per motivi, al solito, di copertura finanziaria. Che senso aveva, allora, approvare in Commissione alla Camera, un testo con un lungo elenco di proposte molto più onerose, soprattutto quando il ministro, in quello stesso giorno, aveva scritto al presidente Moffa chiedendo di rinviare il voto a settembre per studiare insieme delle possibili soluzioni? Tanto più quando  l’onere di 5 miliardi a regime era stato calcolato a spanne (se ne è poi avuto la conferma la scorsa settimana) e la copertura a carico dei giochi on line non era adeguata.

L’altro errore è stato quello di volerlo calendarizzare in Aula  per forza, prima ancora che  il provvedimento avesse le spalle coperte sul piano finanziario. Se l’AC 5103 fosse rimasto in Commissione in attesa della nota tecnica della Ragioneria, si sarebbe potuto aggiustarlo, in collaborazione con il governo,  portandolo poi in Aula con maggiori prospettive di essere approvato. E’ bene sapere, infatti, che nessuna legge di carattere finanziario può essere promulgata se priva della <bollinatura> della Ragioneria generale dello Stato. Alla fine, i fatti mi stanno dando ragione. Purtroppo. Ma non mi sento responsabile di quanto è accaduto e neppure del fatto che, per ora, riusciremo a malapena ad ottenere qualche risultato solo parziale. Da quando in qua chi prevede l’arrivo di una valanga ed invita a stare in guardia è colpevole se poi la valanga arriva?

Tutti sapevano che l’AC 5103 non sarebbe mai arrivato in porto nella sua interezza, eppure hanno tirato diritto per motivi tattici: la Commissione Lavoro nella consapevolezza che poi sarebbe stata la Commissione Bilancio a togliere le castagne dal fuoco; il gruppo del Pd per mettere in imbarazzo il Pdl, accusandolo di non aver voluto calendarizzare il testo unificato addirittura nel mese di settembre. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Tra qualche giorno inizierà la sessione di bilancio che inibisce la discussione di altri provvedimenti di natura finanziaria. Così, o si riesce ad emendare la legge di stabilità d’intesa con il governo oppure di esodati si tornerà a parlare solo nella prossima legislatura, quando il nuovo esecutivo, qualunque esso sia, non potrà risolvere il problema con la bacchetta magica. Ciò premesso, il sig. Antonio e tanti come lui possono continuare a pensare che sia solo colpa mia. Ma disonesti sono loro, non io.