Il caso Arizona è scoppiato perché il Governo Federale non fa il suo dovere

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Il caso Arizona è scoppiato perché il Governo Federale non fa il suo dovere

06 Maggio 2010

I detrattori della nuova legge sull’immigrazione entrata in vigore in Arizona non sono di certo stati timidi nel contestare le ragioni dei sostenitori del provvedimento. La legge, che concede alle forze dell’ordine pieni poteri di fermare, interrogare e arrestare persone sospettate di non avere i documenti in regola, è stata bollata come una legge “nazista” o “para-fascista”, una misura da “Stato di polizia”, un’imitazione dell’”apartheid”, un regime xenofobo che solo dei fanatici possono pensare di appoggiare.

Dovendo affrontare questo tipo di iperbole, i cosiddetti fanatici hanno comprensibilmente restituito il favore, definendo gli oppositori al provvedimento degli intellettuali liberal che non comprendono la cruda realtà di un’esistenza vissuta lungo un confine spesso senza legge. E così il dibattito, invece di condurre ad una discussione civile, si è trasformato in un profluvio di insulti.

Entrando nel merito del disposto legislativo, i suoi critici dimostrano preoccupazioni legittime. La loro isteria risulta spropositata: non indovinereste mai che, tra tutti gli schiamazzi al fascismo made in Arizona, la legge federale richiede già agli immigrati regolari di portare sempre con sé i documenti. Tuttavia, la nuova misura presenta alcuni problemi. La gran parte degli ufficiali di polizia, già oberati di lavoro, la metteranno in pratica probabilmente solo ad intermittenza. Per una minoranza intraprendente, invece, si schiuderanno opportunità per praticare abusi e molestie.

Eppure, per il solo fatto che questo è il modo sbagliato di far rispettare le leggi sull’immigrazione non si significa che le leggi non debbano essere rispettate. Gli immigrati irregolari sono molto più tolleranti di un normale delinquente: sono disposti a sopportare dei rischi notevoli per cercare una vita migliore negli Stati Uniti, ciò che accomuna quasi ogni antenato della popolazione americana attuale. Tuttavia, denunciando ogni politica di fermezza praticata nei confronti degli immigrati irregolari come fanatica e crudele, il campo dei “pro-immigrati” contribuisce a perpetuare un sistema davvero ingiusto.

Sostenere che gli Stati Uniti, partendo da motivazioni morali e di interesse nazionale, dovrebbero essere i più solidali possibile verso gli immigrati è senz’altro una buona tesi. Tuttavia, non vi è nessuna ragione che ci obbliga a decidere quali immigrati accogliere sulla base della loro vicinanza geografica e sulla loro abilità di oltrepassare il confine.

Non si intende parlar male del Messico o dei messicani se si osserva che milioni su milioni di persone nel mondo darebbero ogni cosa pur di avere una possibilità per emigrare negli States. Molti provengono da Paesi più poveri del nostro vicino meridionale. Molti sono sopravvissuti a disastri naturali o hanno sofferto persecuzioni politiche o religiose. E molti hanno speso anni navigando nel mare della nostra burocrazia bizantina, per poi vedere politici di entrambi gli schieramenti sventolare la promessa di un’amnistia rivolta a persone che hanno scavalcato il confine e la frontiera.

Attorno alla metà degli anni 2000, ogni anno circa 700mila immigrati entravano illegalmente negli Stati Uniti. Il 57% proveniva dal Messico, il 24% dal resto dell’America Latina; solo il 13% era originario dell’Africa, del Medio Oriente, del Sud-est Asiatico e del quadrante pacifico.

Se si trovasse un modo migliore gli Stati Uniti accoglierebbero centinaia di migliaia di immigrati regolari in più ogni anno da uno spettro ben maggiore di Paesi. Una popolazione di immigrati più eterogenea incontrerebbe meno possibilità di auto-segregazione oltre a maggiori incentivi all’assimilazione. La paura di una reconquista spagnola si attenuerebbe, così come diminuirebbe la paura di rivolte. Invece di essere particolarmente orientato all’immigrazione non qualificata, il nostro sistema potrebbe spingersi verso gli immigrati qualificati, rendendo l’America più competitiva e meno stratificata.

Un regime di questo tipo sarebbe più giusto nei confronti degli stessi potenziali migranti. L’America si è sempre vantata di saper attrarre persone di ogni credo, continente e cultura. In un mondo globalizzato, gli aspiranti americani nello Zimbabwe o a Burma dovrebbero poter competere ad armi pari con messicani e salvadoregni. Il sogno americano dovrebbe poter sembrare realizzabile tanto a Chihuahua quanto in Cina. Ma ciò potrà succedere solo se prima l’America riprenderà il controllo del suo confine meridionale. Vi è una falsa pretesa che si è già provato a farlo e che questo tentativo si sia rivelato impossibile, quando in realtà il problema è stato considerato complicato e non si è fatto nulla.

Limitare la domanda di lavoratori irregolari richiede controlli serrati nei luoghi di lavoro, sanzioni pesanti per l’assunzione di lavoratori sprovvisti dei documenti, e sacrificio comune da parte degli americani abituati a trarre beneficio dal lavoro a basso costo. Ridurne l’offerta richiede budget più ampi per la polizia di frontiera nonché misure sanzionatorie che verranno inevitabilmente giudicate draconiane: una specie di Social Security Card antieffrazione oltre all’aumento di mura fisiche lungo il nostro confine meridionale, in contrapposizione al muro “virtuale”, idea che l’Amministrazione Obama sembra saggiamente intenzionata ad abbandonare.

Possiamo ben capire perché i nostri leader eviterebbero volentieri il problema. Ma quando Washington non agisce, la gente in prima linea finisce con l’occuparsi dei problemi in prima persona. Se non vi piace la scelta compiuta dall’Arizona, la risposta non è urlare “fascista!”, bensì chiedere al Governo federale di fare il proprio dovere, così che si possa arrivare ad una politica migratoria degna sia degli americani che degli immigrati.

Tratto da New York Times

Traduzione di Emanuele Schibotto