Il “Caso Henke” e la deriva relativista della Chiesa Luterana tedesca

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Il “Caso Henke” e la deriva relativista della Chiesa Luterana tedesca

31 Gennaio 2010

Il suicidio di Robert Enke, il portiere dell’Hannover 96 e della nazionale di calcio tedesca, il 10 novembre scorso, ha scosso la Germania molto più di quanto non sia trapelato dalle cronache dei media italiani: nello stesso ambiente calcistico la discrezione si è trasformata in aperto “no comment” (vedi Gianluigi Buffon, anch’egli, come Enke, vittima di una lunga depressione, che sulla vicenda ha preferito non leggere nulla). In realtà ciò che è accaduto dopo quell’evento luttuoso, in Germania pare aver segnato una svolta nell’idea di suicidio, e dunque nella concezione che si ha della vita. Da evento tragico che sembrava dover riguardare solo i tifosi di una squadra di calcio, il suicidio di Enke si è trasformato in fenomeno con ripercussioni impreviste, per vastità e gravità. E soprattutto tra i giovani.

A lanciare l’allarme è Roland Woldag, un giornalista collaboratore dell’autorevole rivista liberale on-line www.ef-magazin.de, il quale nota come da quel 10 novembre il numero dei suicidi tra i ragazzi tedeschi sia drammaticamente triplicato. Il grande evento mediatico costruito attorno alla cerimonia funebre svoltasi all’interno dello stadio di Hannover (mai vista tanta partecipazione ad evento luttuoso nella Germania del dopoguerra), con la bara di Enke al centro del campo e quasi 40.000 persone sugli spalti, ha rappresentato per Woldag “la rottura degli argini per la cultura della morte”. Il consenso attorno alle motivazioni del gesto estremo scelto dall’atleta è stato quasi totale: depressione, dunque malattia. “Sotto l’effetto Enke”, ha commentato il filosofo Günther Zehm, “prevale oggi la tendenza a tacere il fatto che il suicidio sia il risultato di una libera scelta. Si preferisce pensare che il potenziale suicida sia un paziente da curare e non un uomo da convincere al rispetto per la propria vita”.

Da qui il compatimento diffuso che si è manifestato attorno alla figura del portiere depresso. Ma c’è di più, rimarca Woldag, e se la prende con la EKD, la Chiesa Luterana di Germania, cui lui stesso confessa di appartenere e alla cui guida c’è da ottobre Margot Kässmann, che definisce senza mezzi termini “figura di riferimento dei relativisti di sinistra tedeschi”. È stata infatti la papessa luterana, in quanto “vescova” di Hannover, a tenere il discorso commemorativo presso la Marktkirche, anch’essa, come lo stadio, stracolma. “Limitandosi ad accogliere la tragicità della morte”, sostiene Woldag, “senza fare alcuna distinzione significativa tra causa incidentale e suicidio, ha di fatto condotto al vero dato tragico, cioè che dalla morte di Enke i suicidi tra i giovani si sono triplicati”. “Tempo fa”, aggiunge, “un vescovo cristiano non avrebbe mai benedetto un suicida durante un evento di massa costruito per perbenisti guardoni. Piuttosto si sarebbe scagliato contro la cultura della morte”.

Insomma l’accusa è di “relativizzazione” del suicidio. Non è d’accordo il filosofo e politologo cattolico Otto Kallscheuer, che loda le virtù comunicative della Kässmann: “Come autorità”, dice a “L’Occidentale”, si è trovata a dover parlare in una situazione di grande impatto emotivo e così, ponendosi in sintonia col cuore delle migliaia di persone che aveva di fronte, cosa che lei sa fare molto bene, ha cercato di dire che non tutto è vano, che nessuno, neppure la persona più gravemente malata, può cadere fuori dell’amore di Dio”. Ma la provocazione di Woldag va oltre, nella direzione di una essenzialità dell’esperienza cristiana degna della massima attenzione anche per il dialogo ecumenico (e questo proprio mentre la Kässmann si è vista sbattere le porte in faccia dalla chiesa ortodossa russa perché, in quanto donna, “non è un successore degli apostoli”): “Accadono cose strane”, sostiene Woldag, “Lutero oggi, qualora non si fosse già convertito all’ortodossia, starebbe dalla parte del papa cattolico”. Una provocazione dura e paradossale, rispetto alla quale, dobbiamo dirlo, varie personalità del mondo protestante tedesco, interpellate, hanno preferito rispondere con un “no comment”. “Una provocazione di cattivo gusto”, ha commentato invece sbrigativo Kallscheuer.

Sarà anche così, ma la chiesa luterana tedesca sta vivendo al proprio interno momenti di forte tensione anche in relazione alla politica. La sua attuale maggioranza infatti, compattatasi nell’ottobre scorso attorno al nome della Kässmann, viene accusata di voler dare alla EKD un colore di parte: il rosso. Facendosi promotore della campagna denominata “Kampf gegen Rechts” (“Lotta contro la destra”), il sinodo luterano ha infatti deciso di studiare “conseguenze dal punto di vista del diritto ecclesiastico” per membri della chiesa luterana che in qualche modo mostrino debolezze richiamanti l’estremismo di destra. Un primo eclatante caso è scoppiato attorno alla figura di Helmut Matthies, dell’agenzia d’informazione evangelica “Idea” (www.idea.de). Matthies, a detta di Christhard Wagner, responsabile della formazione nel consiglio ecclesiale della Germania centrale, non avrebbe dovuto accettare il premio “Gerhard-Loewenthal” per la libertà di stampa, attribuitogli nel dicembre scorso dalla conservatrice FKBF (Fondazione per la formazione e la ricerca) e dal settimanale “Junge Freiheit”, perché così facendo ha dimostrato di “trovarsi sul crinale che apre al mileu dell’estremismo di destra”.

“Non avrei mai pensato possibile”, ha dichiarato Matthies, “che un nome come quello di un prominente ebreo tedesco come Loewenthal, perseguitato dai nazisti e dai comunisti poi, potesse essere messo in relazione con l’estremismo di destra da parte di un membro della chiesa luterana”. Sulla piega ideologica presa dalla EKD e sul caso Matthies si sono esposte criticamente personalità di spicco della chiesa evangelica. Così Axel von Campenhausen, docente di diritto ecclesiastico e fino al 2008 direttore dell’Istituto di Diritto Ecclesiastico della stessa EKD: “La disciplina ecclesiastica”, ha dichiarato, “va applicata di fronte a mancanze sul piano ecclesiastico e la fede politica non c’entra nulla.

L’identificazione e la persecuzione degli estremismi politici è compito degli organi statali sottoposti al controllo democratico”. Ha fatto sentire la propria voce anche Theo Lehmann, che nell’allora DDR subì vessazioni da parte della Stasi fin dagli anni Settanta per le sue prediche, giudicate “conservatrici”, eppure in grado di attirare l’attenzione di migliaia di giovani (era il pastore più ascoltato della DDR): antefatti di quella che nel 1989 sarebbe stata la “rivoluzione pacifica” tedesca. “Non capisco questo improvviso richiamo alla disciplina ecclesiastica”, ha detto Lehmann a Moritz Schwarz, per “Junge Freiheit”, “e non so neppure come dovrebbe funzionare. In ogni caso, se proprio la si vuole, la si dovrebbe applicare anzitutto anche su chi convive con l’estremismo di sinistra e poi si dovrebbero evitare errori come quello fatto con Matthies, che nulla ha a che fare con l’estremismo. Ma del resto anch’io, nel 2005, venni aggredito solo perché mi permisi esprimere un’opinione sul vostro settimanale…”. Estendendo il proprio giudizio sull’insieme delle posizioni che la chiesa luterana tedesca esprime per la sua grande maggioranza Lehmann non ha dubbi: “Oggi la chiesa su questioni come l’aborto, l’omosessualità o l’islam, invece di acquisire una propria posizione, così come la stessa Bibbia le sollecita,  rincorre obbediente lo spirito del tempo. Tuttavia, una chiesa che disarmi se stessa solo per piacere ai potenti o all’opinione pubblica finisce col perdere se stessa. Finisce con l’essere la serva dei potenti e non più la chiesa di Dio”. 

Da ultimo è scoppiata la grana della guerra in Afghanistan, che, per quanto le truppe tedesche siano assistite da religiosi cattolici e protestanti, Margot Kässmann ha detto essere “non giustificabile”, tanto da auspicare “il prima possibile” il ritorno in patria dei soldati della Bundeswehr. Dure le reazioni da parte dei politici e non solo di quelli di parte governativa. “Proprio noi tedeschi”, ha commentato Tom Koenigs, dei “Grünen”, già presente in Afghanistan per conto dell’ONU, “che siamo stati liberati da un regime di terrore al prezzo di ingenti sacrifici umani non dovremmo ripetere l’errore commesso dai pacifisti americani prima della guerra”. Insomma il timore è che la chiesa luterana tedesca imbocchi sempre più la strada del pacifismo radicale.