“Il caso Spatuzza insegna a non fare affidamento solo sui pentiti”

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“Il caso Spatuzza insegna a non fare affidamento solo sui pentiti”

01 Dicembre 2009

Sottosegretario Mantovano, lei è tra quelli convinti che contro Berlusconi è in atto un assedio giudiziario? 

Sì, e dico sì non sulla base di ricostruzioni complottistiche ma su un esame obiettivo dei fatti. 

Ci spieghi.

Forse non tutti sanno che in Italia c’è un signore, un certo Silvio Berlusconi, che dal ’96 al 2002 è stato iscritto nel registro degli indagati da due differenti procure, Firenze prima e Caltanissetta dopo, come mandante di stragi mafiose. Per anni le due procure hanno impegnato energie e uno degli oggetti d’indagine che ha richiesto più tempo era capire quando è avvenuto il concepimento – non la nascita – di Forza Italia. Perché se fosse emerso così come informa oggi Repubblica con una paginata che il concepimento è avvenuto nel ’92 ciò diventa elemento significativo per dire che Berlusconi o chi per lui ha fatto mettere le bombe a Firenze, Roma e Milano, dal momento che quella era la strategia per preparare il terreno a un cambio di rotta della politica e alla vittoria elettorale successiva di Berlusconi. Tutto ciò è andato avanti per sei anni, nonostante ci siano stati due decreti di archiviazione. Ora, che un leader subisca così tante indagini e che i temi non sono chi andava a passeggio insieme a Riina con in mano le mappe della campagna di Capaci o di via D’Amelio, mi pare dia ragione a chi parla di attenzione mediatico-giudiziaria finalizzata alla delegittimazione del capo dell’esecutivo. Adesso siamo punto e accapo: riprendiamo a parlare di uno scenario da saga, ma qui più che saga mi sembra una ribollita. 

In queste ore si rincorrono voci sull’ipotesi di un avviso di garanzia al premier dalla procura di Firenze. Secondo lei è possibile che ciò avvenga nonostante il procuratore Quattrocchi abbia smentito? 

Credo che a questo punto sia superfluo che gli mandino un avviso di garanzia perché l’effetto mediatico di far passare una certa immagine sia sui giornali italiani ma soprattutto stranieri, è già stato raggiunto.

Perché in quegli anni i pm fiorentini chiusero in cassaforte le loro valutazioni su due personaggi chiamati in codice “autore uno” e “autore due” e lì sono rimaste per tutto questo tempo?

Quella indagine si concluse con l’archiviazione. Diciamo che nella paradossalità di quell’indagine c’è stato il rispetto della riservatezza prevista per reati come quelli di mafia. Oggi invece non so se la procura di Firenze abbia rispettato questo vincolo fino in fondo, visto che tutti abbiamo letto i virgolettati dei verbali di Spatuzza sul Corriere della Sera e su Repubblica. 

Che idea si è fatto sul pentito Gaspare Spatuzza? 

Vorrei farmela.

In che senso? 

Presiedo la commissione che decide sull’ammissione dei collaboratori di giustizia al programma di protezione e dovrei avere a disposizione elementi per valutare se l’ammissione di Spatuzza deve avere corso oppure no. Finora, invece, ho avuto solo cenni velocissimi, nonostante abbia chiesto elementi in più per trasformare il piano provvisorio al quale Spatuzza è sottoposto dal giugno 2008 in definitivo. Spero di non dover decidere sulla base di articoli giornalistici, sarebbe poco rispettoso dell’istituzione che rappresento, e di non essere messo in queste condizioni dalla procura di Firenze. 

Da quando Spatuzza è collaboratore di giustizia? 

Ha iniziato a collaborare con i magistrati di Firenze il 26 giugno 2008, quindi in base ai 180 giorni previsti dalla legge arriviamo al 26 dicembre 2008. La cosa paradossale è che ad oggi la commissione che presiedo non ha letto una sola riga di dichiarazioni, salvo la mezza paginetta della procura, nonostante le nostre sollecitazioni. Qualche giorno fa leggo a più riprese su importanti quotidiani che la dichiarazione che descrive l’incontro a Roma tra i Graviano e Spatuzza è stata detta per la prima volta da quest’ultimo il 18 giugno 2009, quindi sei mesi dopo la scadenza del termine. 

Lei sostiene che nel caso Spatuzza è stata violata la legge che fissa in sei mesi il tempo in cui i pentiti devono rendere le loro dichiarazioni ai magistrati. Affermazione che ha sollevato un vespaio di polemiche e l’interrogazione della deputata Pd Garavini. Cosa risponde? 

A ciò che ho detto ho aggiunto una clausola non di stile, e cioé se è corretto quanto riportato dai giornali; perché purtroppo non ho elementi diretti di valutazione pur avendo titolo a riceverli. Sono pronto a dare conto della vicenda e più in generale della gestione dei pentiti in tutte le sedi, fuori e dentro il Parlamento, e se mi viene consentito anche in quelle forme che tutelano la riservatezza, ad esempio la commissione parlamentare antimafia. Anzi, penso che una conoscenza dettagliata da parte del Parlamento anche nelle forme di riservatezza che sono previste, potrebbe permettere a molti parlamentari di prendere cognizione di fatti che sarebbe molto utile conoscere. 

Ma c’è una sentenza della Cassazione del 2009 in base alla quale le dichiarazioni rese dai pentiti dopo 180 giorni dall’avvio della collaborazione sono utilizzabili ai fini investigativi e anche processuali qualora in quella sede vengano confermate. 

Io presiedo un organo amministrativo, quindi istituzionalmente non mi preoccupa il lato processuale che invece deve interessare la magistratura, in questo caso giudicante. Ricordo che l’articolo 16 quater comma 1 della legge sui pentiti dice che ai fini della concessione delle speciali misure di protezione, non ai fini giudiziari, la persona che vuole collaborare rende al procuratore entro 180 giorni tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti. Io sto a questa norma. 

Anche la legge sui pentiti fissa paletti precisi.

La prima norma risale al ’91 ed era una legge larga. Nel decennio successivo sono state introdotte nuove disposizioni e sono emerse anche alcune riserve su questa eccessiva ampiezza, tanto è vero che allora il parlamento con una maggioranza di centrosinistra – stiamo parlando dei governi Prodi, D’Alema e Amato – vara una riforma della legge sui pentiti e uno degli aspetti è proprio l’articolo che ho citato prima relativo alla necessità di evitare dichiarazioni a rate dei pentiti che devono riferire non in un giorno ma nell’arco di sei mesi ciò di cui sono a conoscenza, ovvero tutte le notizie utili alla ricostruzione dei fatti e non certo l’indice di un libro. 

Cosa che nel caso Spatuzza non è avvenuta? 

Non lo so. Se leggo i giornali riscontro che l’indicazione del famoso incontro del ’94 in un bar di via Veneto a Roma è successiva di parecchi mesi alla scadenza dei 180 giorni fissati dalla legge e su questo non ho avuto smentite da nessuno. 

Esiste oggi un problema di credibilità dei pentiti? 

Il problema esiste da sempre ed è confermato dalla stessa legge in base alla quale la dichiarazione di un pentito da sola non è sufficiente per arrivare alla condanna, ma ha bisogno di riscontri. Lo stabilisce anche il codice di procedura penale. Ciò non vuol dire sminuire lo strumento dei collaboratori di giustizia ma esigere che non si faccia esclusivo affidamento su di loro. 

Secondo lei le norme sulla gestione dei pentiti andrebbero riviste? 

No, ma vanno applicate nella loro interezza da tutti, a cominciare dall’autorità giudiziaria anche se c’è una larga parte della magistratura che la applica correttamente. Penso che prima di modificare una legge così delicata, forse sarebbe opportuno capire se e in che misura la norma viene applicata e la sede di questo approfondimento non può che essere il parlamento. E il parlamento ha gli strumenti per farlo, ad esempio con la commissione antimafia. 

E il concorso esterno in associazione mafiosa? 

Come tutti sanno questo è un reato di creazione giurisprudenziale, non esiste nel codice né nelle leggi. Riesce quindi complicato modificare qualcosa che viene fuori per interpretazione. Dal mio punto di vista è anche una cosa inutile perché ricordiamo tutti cosa è successo nel processo Andreotti. 

Cosa accadrà venerdì al processo Dell’Utri con le dichiarazioni di Spatuzza? 

Sono veramente strabiliato nel cogliere un’attesa da queste dichiarazioni come se il presidente Obama al congresso americano stesse per annunciare la sua strategia per vincere la guerra al terrorismo. Francamente non so, se conoscessi gli elementi al di là di ciò che leggo sui giornali, sarei più preciso. 

Nell’ufficio di presidenza il Pdl ha votato all’unanimità il sì al processo breve, riforma costituzionale della giustizia e lodo Alfano per via costituzionale. Bersani dice che è pronto a confrontarsi solo se ritirate il processo breve. Insomma come intendete procedere? 

Se c’è disponibilità al confronto non dovrebbero esserci pregiudiziali; se ci sono pregiudiziali forse non sono maturi i tempi, ma tutto ciò non impedirà il percorso riformatore.