Il caso Trivi e Chiriaco rivela l’ennesima stortura nel sistema intercettazioni

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Il caso Trivi e Chiriaco rivela l’ennesima stortura nel sistema intercettazioni

16 Novembre 2011

“Ho contato i suoi voti” scambiato per “ho comprato i due voti”. L’innocua “Adesso chiamo Luca Tronconi” diventata “rischiamo un po’ troppo”. Sono questi gli strafalcioni messi nero su bianco dal perito del Tribunale di Pavia su un caso di supposta corruzione elettorale di ‘ndrangheta.  Errori grossolani che Pietro Trivi, ex assessore al Commercio di Pavia, e Carlo Chiriaco, ex direttore dell’Asl della città lombarda, stavano per pagare gratuitamente sulla loro pelle nel quadro del blitz “Infinito” istruito nel 2010 dal procuratore aggiunto milanese Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Paolo Storari.

Sì, perché le intercettazioni telefoniche portate sul banco degli imputati contro Trivi, dopo essere state accuratamente riascoltate dai difensori e poi dai giudici, rivelavano tutt’altro contenuto. E a una verità che motiva l’assoluzione con formula piena dell’ ex assessore al Commercio di Pavia e del medico Chiriaco, disposta il 12 ottobre scorso dal tribunale di Pavia.

Partiamo dall’antefatto. Secondo l’accusa, Trivi e Chiriaco nella primavera del 2009 avrebbero dato 2mila euro a un infermiere per sostenere l’elezione di dell’ex assessore in consiglio comunale. Nello specifico, Chiriaco era considerato dagli investigatori uno dei personaggi chiave delle cosche che operavano sul territorio lombardo. Dal canto suo, la Difesa aveva replicato che l’ex direttore dell’Asl aveva solamente pagato un attivista, che aveva seguito la campagna elettorale – anche perché l’operatore sanitario non avrebbe mai potuto votare a Pavia poiché non era iscritto nelle liste elettorali della città, difficile anche credere che l’uomo abbia potuto fare da tramite per corrompere altri elettori, con soli 2mila euro.

Intanto, però, le cose per Trivi e di Chiriaco si mettevano male: la Lega chiede e ottiene le dimissioni immediate dell’assessore “colluso” e la Procura il rinvio a giudizio per il reato di corruzione elettorale per entrambi. La prova schiacciante era data, appunto, da una intercettazione tra Trivi e Chiriaco che aveva come argomento di discussione il famoso pagamento di 2mila euro. Così i giudici del tribunale di Pavia decidono di far trascrivere da un perito l’intera conversazione incriminata che fa emergere pezzi di conversazione molto compromettenti per i due. Trivi, che quei nastri li aveva ascoltati e riascoltati, insorge additando come false le sbobinature. A quel punto parte la verifica che porta a galla la verità.

Una verità  che si traduce in un atto d’accusa contro il sistema di controlli telefonici, perché ci dimostra che ad una intercettazione si può far dire tutto e il contrario di tutto e far passare arbitrariamente per colpevole chi colpevole non è. Una vera e propria falla nel sistema, che invece di aiutare la giustizia, crea finti mostri e (come in questo caso) allunga i tempi e complica l’iter dei processi.