
Il Cav. a Strasburgo per dire che l’Italia non è la Grecia e il premier è ancora lui

12 Settembre 2011
Strasburgo non è un escamotage per fuggire dai pm di Napoli ma un passaggio necessario per andare a dire che l’Italia non è la Grecia. Perché le polemiche che impazzano a Roma, dalla manovra al governo di transizione, hanno eco in Europa e non fanno il ‘bene del paese in un momento così delicato’. Tutto, in un altro giorno da bollino rosso per le Borse, dopo un G7 che non ha concluso granchè, dopo il rischio default di Atene e l’effetto sulle tre principali banche francesi fortemente esposte proprio sui titoli greci.
“Non scappo dai pm, a Strasburgo potevo andare solo martedì”. Niemnte passi indietro, niente ‘salvacondotti’ come da giorni va sostenendo l’opposizione e ipotizzando alcuni settori della maggioranza. La linea del Cav. dettata ai suoi e rilanciata in un’intervista a Mattino Cinque è chiara: il governo resta al suo posto perché ha una maggioranza in Parlamento e un presidente del Consiglio eletto dai cittadini. E’ la stessa determinazione con cui respinge l’accusa di volare oggi a Bruxelles e Strasburgo per evitare il faccia a faccia coi pm napoletani caso Tarantini-Lavitola: la definisce “un’assurdità” spiegando che Van Rompuy e Barroso poteva incontrarli “solo di martedì”. E sul fronte delle inchieste giudiziarie – i rumors di ieri parlavano di una nuova ondata di intercettazioni in arrivo nei prossimi giorni – chiarisce di non avere alcun timore dei magistrati perché nella vicenda napoletana è un testimone in una storia nella quale “ho solo aiutato una famiglia in difficoltà”. Intanto oggi i pm partenopei riceveranno dai legali del premier una memoria difensiva. Ma il clima e le voci di nuove intercettazioni agitano la maggioranza soprattutto per il rischio di ricadute a livello internazionale in un momento così delicato, coi conti italiani sotto la lente di ingrandimento dell’Europa. Ad alimentare le preoccupazioni è anche l’ennesimo crollo dei mercati con Piazza Affari che ha lasciato sul terreno un -3,89 per cento e il differenziale tra Btp e Bund tedeschi è schizzato a quota 380 punti.
A Barroso stamani Berlusconi illustrerà – carte alla mano – i dettagli della manovra, nel pomeriggio sarà a Strasburgo dal presidente dell’europarlamento Jerzy Buzek per un incontro sul quale si innestano nuove polemiche, non solo da Roma con la sinistra che annuncia un sit-in di protesta proprio davanti alla sede dell’Assemblea europea. E’ infatti lo stesso Buzek a derubricare la visita del premier italiano a “colloquio di cortesia di un paio di minuti”. Le opposizioni ci montano l’ennesima polemica e a tarda sera una nota di Palazzo Chigi bolla la mossa come strumentale. Polemiche a parte, che pure non contribuiscono certo a rasserenare il clima, l’obiettivo dichiarato del premier è rassicurare l’Ue sulla portata e sulle misure della manovra che probabilmente giovedì riceverà il voto finale della Camera (possibile la fiducia). Un modo per mettere le cose in chiaro con i referenti dell’Eurozona e tentare di scongiurare l’ipotesi di nuovi interventi. Un’ipotesi che per Bruxelles non è tramontata se dall’Italia non verranno garanzie sul pareggio di bilancio e i provvedimenti per far quadrare i conti.
Ma la giornata di oggi si preannuncia calda pure sul fronte interno. Tra i temi che alimentano tensione c’è la vicenda Milanese, proprio oggi nell’agenda dei lavori della Giunta per le autorizzazioni della Camera. E se si guarda a come andò a finire con il deputato Pdl Alfonso Papa, l’attenzione è tutta concentrata sulla Lega e in particolare sugli uomini di Maroni (che per il sì all’arresto di Papa risultarono determinanti). La preoccupazione maggiore dentro la maggioranza è che il Carroccio mantenga la linea adottata con Papa; il che avrebbe forti ripercussioni sul ministro Tremonti (di cui Milanese era braccio destro), già nell’occhio del ciclone per la manovra da cinquanta miliardi. Ma a tenere banco sono anche i malumori e le frizioni dentro il Pdl. Nonostante il monito di Angelino Alfano ai malpancisti, restano i distinguo sull’ipotesi di una exit srategy e sulla road map per primarie e congressi. Il ‘correntone’ come qualcuno lo ha già ribattezzato che va da Formigoni ad Alemanno alla Polverini passando da Pisanu, spinge seppure con visioni differenti, per l’avvio di una transizione.
Di primarie si è parlato ieri nel forum promosso dal Secolo d’Italia in un faccia a faccia Pdl-Pd con Walter Veltroni, Gaetano Quagliariello, Adrea Augello e Antonio La Forgia al quale hanno preso parte Giuliano Ferrara e Mario Sechi, rispettivamente direttori de Il Foglio e Il Tempo. Sull’idea di riformare la politica sono tutti d’accordo ma è sul come che le posizioni restano distanti. Se per l’ex leader democrat le primarie sono uno strumento per “reinventare un modello di rapporto tra società, partiti e istituzioni” e vanno regolate per legge, non è questo il momento per un confronto aperto; prima infatti serve “un nuovo governo e un nuovo e una nuova fase”. Non la pensa così il vicepresidente dei senatori Pdl convinto del fatto che se c’è volontà e buona fede di lavorare attorno a un progetto senza il solito refrain dell’antiberlusconismo, lo si può fare in tempi rapidi: “Se ci sediamo attorno a un tavolo, le primarie si fanno in un quarto d’ora”, spiega sottolineando che “vanno inserite in un ammodernamento complessivo del sistema istituzionale bloccato finora anche dal tema della creazione del Senato federale. Questo nodo va sciolto e nei prossimi giorni vedremo qual è la proposta”. Occorre fare in fretta anche per Andrea Augello, che chiede “le stesse garanzie delle elezioni regolari. I tempi sono maturi e provarci non solo è possibile, ma necessario”.
Fin qui il dibattito tra schieramenti opposti su ciò che sarà o si potrà fare, anche insieme. Ma per ora nell’agenda della maggioranza non c’è alcun passo indietro: né del Cav., né del governo.