Il Cav. apre a Fini ma vuole un impegno serio per andare avanti

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Il Cav. apre a Fini ma vuole un impegno serio per andare avanti

04 Novembre 2010

Due “sì a patto che” e un “altrimenti al voto subito”. Il Cav. offre a Fini il riconoscimento politico di Fli e un patto di legislatura, ma nessun passo indietro che apra la strada a ribaltoni. Tutt’altro. La direzione è netta: si va avanti con l’agenda di governo e il piano delle riforme. Dal presidente della Camera, ora aspetta un segnale di “chiarezza”: un sì o un no. E se la risposta dovesse essere negativa non esistono alternative, si torna davanti agli elettori. Al netto dei tatticismi e delle schermaglie che da mesi agitano il centrodestra, il dato politico uscito dalla direzione nazionale del Pdl sta qui.

Il premier riprende i cinque punti votati in Parlamento anche da Fli e su questi chiede una posizione leale e trasparente perché saranno i cardini “della strategia da qui al termine della legislatura”. Sulla giustizia, ad esempio, cita la separazione delle carriere tra pm e giudici, due passaggi che i finiani condividono ma è fermo quando riferendosi alle speculazioni della sinistra, ribadisce che nessuno può dire il falso sostenendo l’intenzione di assoggettare i pm al potere politico. Un messaggio in codice anche per i finiani. E se il “capo” dirà ciò che ha da dire domenica a Perugia, per ora sono i futuristi a commentare l’intervento del premier, anche se non tutti parlano la stessa lingua. Bocciatura senza appello da Bocchino e Granata per i quali si è trattato di “un discorso deludente, debole e tardivo”, mentre Viespoli, Moffa e Raisi sono più interessati a ragionare sulla proposta politica, cioè sul patto di legislatura.

Nessuno però, si spinge oltre, nessuno dice se a questo punto l’ipotesi di uscire dal governo e di dare l’appoggio esterno resta ancora in piedi. Tutti glissano con un diplomatico “ogni opzione resta aperta, sarà il nostro leader a stabilire quella da seguire. Così fino a sera, quando scoppia un “giallo”. Le agenzie di stampa riportano ciò che Fini avrebbe detto ai suoi: “Berlusconi? Discorso deludente, tardivo e senza prospettiva”.  Il portavoce Fabrizio Alfano smentisce a stretto giro spiegando che “Fini esprimerà il suo pensiero in modo inequivocabile a Perugia” ma è la conferma del livello di fibrillazione tra falchi e colombe futuriste.  

Il segnale intercettato poche ore prima della direzione nazionale è di tutt’altro segno. Berlusconi e Fini sono tornati a parlarsi, dopo mesi di silenzi e di emissari a fare la spola tra Palazzo Chigi e Montecitorio. Un breve colloquio prima della cerimonia sull’Altare della Patria che in molti tra i pidiellini hanno interpretato come la volontà di tornare a dirsi le cose in faccia, seppure da posizioni e ruoli distinti. E la successiva apertura del Cav. è apparsa un passo in avanti, seppure condizionato al fatto che il presidente della Camera abbandoni definitivamente la linea dell’ambiguità perché “non si può da un lato chiedere al governo di governare e dall’altro frapporre ostacoli all’esecutivo e alla maggioranza”, ricorda in uno dei passaggi clou dell’intervento davanti al plenum del partito. Berlusconi richiama la fiducia ottenuta in Parlamento sui cinque punti dell’agenda di governo (“con una maggioranza più ampia di quella originaria”) per poi domandare a Fli cosa “di significativo” sia cambiato in meno di un mese sul piano politico.

“Io credo che non sia cambiato nulla, continuiamo a lavorare in quella direzione e domani (oggi, ndr) in Consiglio dei ministri approveremo il piano sulla sicurezza e l’immigrazione del ministro Maroni. E’ dunque necessario andare avanti fino al termine della legislatura rispettando il mandato elettorale”. Se invece, qualcosa è cambiato, incalza il premier, “allora lo si deve dire apertamente, lo si motivi e lo si giustifichi di fronte agli italiani. Se Fli ritiene che l’esperienza di governo sia esaurita lo deve dire con chiarezza e subito”. Un modo per mettere Fini e i suoi di fronte alla responsabilità politica  che comporterebbe la scelta di abbandonare il governo o sostenerne uno diverso da quello uscito dalle urne due anni fa. Probabile che per il momento i finiani vogliano mantenere alto il livello di tensione in vista della convention di domenica a Perugia (domani, vertice dello stato maggiore futurista con Fini per decidere la strategia) ma è altrettanto chiaro come a questo punto il gioco (speculare) del cerino debba cessare.

E se Berlusconi si spinge a prendere atto “dell’esistenza di una diversa offerta politica nell’ambito del centrodestra” (aprendo di fatto una competizione diretta a condizione che Fini non si presti al gioco della sinistra che punta al ribaltone), ora per il presidente della Camera diventa più difficile e rischiosa l’opzione della rottura ‘mascherata’ da appoggio esterno. A maggior ragione ora che gli viene offerto quel riconoscimento al suo progetto politico che va chiedendo da mesi. Certo, visto quanto accaduto finora, ai futuristi non basteranno le aperture del Cav. ed è probabile che il tentativo di ‘fare le pulci’ su ogni singolo provvedimento del governo per far pesare il ruolo di “terza gamba della coalizione”, andrà avanti ma è altrettanto vero che Fini non può rischiare che la corda si spezzi (cioè aprire la strada alle elezioni che non vuole). Per caprine di più bisogna attendere il passaggio di Perugia.

Lo stesso premier non ostenta particolare ottimismo sull’esito finale e secondo quanto trapela da via dell’Umiltà, avrebbe accettato la sollecitazione dello stato maggiore del partito pur restando scettico sulla volontà del leader di Fli di arrivare a un’intesa che consenta di portare a termine la legislatura. Anche se, pur di raggiungere l’obiettivo il Cav. sarebbe disposto al faccia a faccia con il presidente della Camera, come fa intendere il coordinatore nazionale Denis Verdini quando dice che per stringere un’intesa di questa portata serve un incontro tra i due leader: “Se si deve fare un patto è ovvio che ci si deve sedere a un tavolo, mica lo si può fare tramite dichiarazioni alla stampa”. Anche Bossi è convinto che alla fine, Fli non avrà il coraggio di rompere definitivamente perché se lo farà “si deve andare al voto ma loro hanno paura del voto, come la sinistra”.

Il resto dell’intervento, Berlusconi lo calibra sull’agenda delle riforme scadenzando le tappe più ravvicinate. Conferma la necessità di varare anche alla Camera la riforma dell’Università per la quale, assicura, i soldi ci sono; annuncia l’avvio della riforma fiscale ed entro il 16 novembre il via libera al decreto Tremonti per lo sviluppo (dalle risorse per gli atenei a quelle sul piano per il Sud, dal cinque per mille a interventi di sostegno per le piccole e medie imprese). A questo aggiunge una promessa: “Non tasseremo mai i Bot e la casa per non toccare i risparmi di tante famiglie che si sono fidate e si fidano dello Stato”. La prossima settimana, infine, la presentazione a Bruxelles del ‘piano di riforma’ proiettato al 2020 con al centro “il ritorno al nucleare, il rilancio del Mezzogiorno e la riforma fiscale con il passaggio graduale dalle imposte sulle persone a quelle sulle cose”.  

Passaggio altrettanto netto sui “valori non negoziabili” (centralità della persona, difesa della vita e della famiglia) e richiamo all’agenda bioetica del governo come strumento per tutelarli. “Non faremo un passo indietro ma cinque passi avanti”, scandisce il Cav. lanciando una stoccata seppure indiretta al leit motiv più recente in voga tra i finiani.

Dall’azione di governo al rilancio del Pdl. Berlusconi conferma l’avvio della stagione congressuale fissando fin da ora l’obiettivo prioritario: raggiungere un milione di iscritti. I congressi comunali e provinciali si faranno da luglio 2011, assicura tornando sul coinvolgimento della base attraverso i circoli, la Giovane Italia e i sessantunomila ‘team della libertà’ dislocati in ogni distretto elettorale. Ma la parte clou dell’intervento la riserva ad un appello all’unità: basta personalismi e divisioni – è il concetto di fondo – perché di fronte “all’attacco di chi vuole rovesciarci calpestando ciò che gli elettori hanno scelto due anni fa, è il momento della coesione e la nostra classe dirigente deve fare squadra per difendere non tanto e non solo il Pdl ma l’interesse degli italiani moderati”.

Già il partito. Tema affrontato negli interventi dei big pidiellini. Dal presidente dei deputati Cicchitto per il quale dopo la fase transitoria “dobbiamo costruire il partito degli eletti e degli elettori” con una maggiore apertura al coinvolgimento e alla partecipazione” che finora specie nella gestione dei coordinamenti regionali è stata insufficiente e la conseguenza è che gli elettori se ne vanno; al vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello che ha rilanciato la prospettiva di andare oltre i confini del Pdl lavorando al partito dei moderati perché la vera partita “ce la giochiamo all’esterno: oggi ci sono milioni di cittadini rimasti senza bussola perché da moderati hanno trovato un Pd che sull’economia insegue la Fiom, sulla giustizia Di Pietro e sui temi etici Pannella e la Bonino. Un grande partito ha bisogno di tre elementi fondamentali: un leader, un popolo e tra questi due elementi, una classe dirigente. Il leader lo abbiamo, abbiamo il popolo, non sappiamo ancora se abbiamo la classe dirigente. Da questo punto di vista, ciò che faremo nei prossimi mesi sarà decisivo. Per tutti”.

Quanto al patto di legislatura con Fini, per Quagliariello non può essere “scisso da un accordo elettorale”. Dal sindaco di Roma Gianni Alemanno arriva un richiamo forte ad aumentare il livello di democrazia interna portando avanti la stagione congressuale e un monito: “Guai a noi se non facessimo i congressi a luglio. Occorre far crescere leadership locali legittimate dalla partecipazione e da processi democratici. Chi oggi lascia il Pdl nella maggiorparte dei casi non lo fa perché in dissenso con Berlusconi, ma perché non trova interlocutori che lo ascoltano e coinvolgimento a livello territoriale”.

La vera sfida per rilanciare il partito anche rispetto all’opzione futurista aperta nel centrodestra, è proprio questa.