Il Cav. archivia il progetto dei finiani come una “malattia da curare”
18 Marzo 2010
Il richiamo, netto, è all’unità del Pdl. Concetto che il Cav. scandisce parlando ai deputati nella cena al Castello di Tor Crescenza. Solo un accenno nell’intervento dedicato alla mobilitazione di sabato a Roma e ai contenuti di una campagna elettorale che nell’ultimo scorcio in vista del voto, va calibrata sui guasti dei governi di sinistra nelle undici regioni monocolore. A cominciare dal disastro-rifiuti in Campania.
Solo un accenno, certo, ma quanto basta per mandare un messaggio chiaro ai movimentismi dei finiani che in questi giorni agitano il dibattito interno al partito. Della serie: va bene il confronto ma non è che ogni giorno qualcuno deve negare ciò che dice l’altro. Per questo è ora di finirla con gli attacchi interni. Nessun riferimento diretto a "Generazione Italia", tuttavia il Cav. sintetizza il suo pensiero in una frase che da sola significa molto. "Le differenze e il dibattito in un grande partito come il nostro, sono una ricchezza ma se diventano sistematiche, diventano una malattia e le malattie vanno curate".
Applausi in sala, gelo tra i finiani. Compreso il vicepresidente dei deputati Italo Bocchino, l’unico a non applaudire l’intervento del premier, raccontano alcuni parlamentari presenti alla cena. Il vicepresidente dei deputati Pdl è l’uomo-chiave del progetto di Fini, anche se – si fa notare nelle file aennine – l’inquilino di Montecitorio non avrebbe apprezzato i tempi e il modo con cui il "mandato esplorativo" che gli ha affidato è stato gestito, al punto che lo stesso Fini ha dovuto in qualche modo correggere il tiro per evitare che la sua proposta politica "nel Pdl e per il Pdl" finisse nel vortice delle strumentalizzazioni.
Eppure la mossa dei finiani ha già prodotto scompiglio e malumori nel partito e nella maggioranza, anche perchè – osservano dalla maggioranza – è stata presentata come la risposta di Fini ai Promotori della Libertà che Berlusconi ha affidato alla Brambilla: in altre parole, una proposta politica rispetto a un’operazione più di immagine che di sostanza, è il concetto di fondo. Tanto che c’è chi come Alessandra Mussolini ha scritto una lettera ai due co-fondatori del Pdl per dire "non costringeteci a scegliere tra l’uno e l’altro". Non solo: ieri a Montecitorio molti deputati pidiellini e leghisti hanno rimarcato la differenza tra Berlusconi e Fini riferendo un episodio accaduto durante le dichiarazioni di voto sulle mozioni dedicate all’Economia e che ha avuto per protagonisti il deputato del Carroccio Gibelli e il presidente della Camera.
Gibelli nel suo intervento replica a Di Pietro sottolineando che non può parlare di lavoratori uno come il leader Idv che non conosce il tema da vicino. Passaggio interrotto da Fini che richiama il parlamentare ad un atteggiamento più consono all’Aula. Ma Gibelli segnala al presidente della Camera come Di Pietro nel suo intervento abbia dato per quattro volte del "latitante" al premier senza che dai banchi della presidenza arrivasse lo stesso richiamo fatto a lui. Applausi leghisti e pidiellini.
La frase che il Cav. scandisce davanti ai deputati serve a rimettere le cose al loro posto e pure a far capire che lui non è disposto ad assistere da spettatore a iniziative che, specie in questo momento, rischiano di creare tensioni e instabilità interna, l’esatto contrario di ciò che, invece, serve per completare la costruzione e il consolidamento di un partito destinato "a calcare la scena politica per i prossimi decenni".
La priorità è un’altra e Berlusconi lo rimarca quando rimette al centro la mission del Pdl: confermare il consenso popolare ottenuto alle politiche, anche perchè i prossimi tre anni dovranno essere gli anni delle grandi riforme – giustizia e fisco in testa – per completare quella rivoluzione liberale che è la cifra dell’azione di governo e il chiodo fisso del premier.
L’altro tema sul quale il premier batte il tasto è la controffensiva agli attacchi della sinistra e di certi magistrati politicizzati, gli stessi che vorebbero "dettare temi e tempi della campagna elettorale. Lo hanno fatto prima parlando di una tangentopoli che non c’è stata e non c’è, in realtà si tratta di casi singoli da accertare e punire. Poi hanno schizzato fango su ciò che abbiamo fatto in Abruzzo e poi hanno tentato di escluderci dalle elezioni guarda caso nelle due città più importanti, Milano e Roma, accusando i nostri rappresentanti, quando invece sono stati proprio i magistrati a violare le norme".
Il punto – è il ragionamento del Cav. – è che in questo momento certa magistratura punta ad avere la "sovranità nazionale" mentre la Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo che la esprime attraverso i suoi rappresentanti. Non a caso ricorda come nel ’94 alla vigilia delle politiche "la procura di Locri ordinò di perquisire le sedi di Forza Italia e, a elezioni vinte, il passaggio successivo fu l’avviso di garanzia" mentre il premier presiedeva il G8 a Napoli. Berlusconi aggiunge un particolare rivelando che l’allora presidente della Repubblica Scalfaro "chiamò Bossi e gli disse che il presidente del consiglio era ormai sull’orlo del baratro e se non voleva finirci pure lui avrebbe dovuto abbandonare l’alleanza. Ho ricordato questo passaggio in un recente consiglio dei ministri e Bossi lo ha confermato".
Un pò quello che è accaduto a Mastella ai tempi di Prodi e oggi sta accadendo a Verdini (con l’indagine sul G8) al quale il Cav. in un passaggio del suo discorso conferma la propria fiducia. Questa "è la situazione che viviamo oggi in Italia" ripete il premier che poi si domanda che "paese è mai quello in cui il presidente del consiglio viene intercettato continuamente". Il riferimento è all’inchiesta di Trani rispetto alla quale il Cav. si sofferma su un punto: l’aver esercitato "il mio dovere di primo ministro segnalando che nel servizio pubblico, la Rai, c’è una trasmissione che coi soldi pubblici, fa processi a persone che sono già sotto processo e non possono difendersi".
C’è un’ultima questione sulla quale Berlusconi sollecita al massimo impegno i parlamentari nell’ultimo scorcio di campagna elettorale: cosa ha rappresentato il governo della sinistra in Puglia, in Campania, in Calabria e nelle altre regioni rosse dove c’è il livello più alto di imposizione fiscale o da dove i cittadini partono per andare a farsi curare negli ospedali del Nord. E’ su questo che il Cav. chiama alla mobilitazione il partito e la sua classe dirigente perchè la parola d’ordine è una sola: piantare il maggior numero di bandierine del Pdl nelle regioni al voto. Come a dire: ora non è il momento di diatribe interne al partito. Il Cav. le lascia sullo sfondo derubricandole a questioni delle quali occuparsi in un secondo tempo. Forse, già il giorno dopo il responso delle urne.