Il Cav. attacca: “Giustizia usata per fini politici”. E Fini si rimette la toga
16 Gennaio 2011
Nessuna correlazione tra denaro e prestazioni sessuali. Nessun rapporto intimo con Ruby. Accuse “totalmente inventate e perfino risibili”. Poi una sfilza di rilievi procedurali mossi contro i pm della procura di Milano che lo indagano per concussione e prostituzione minorile. E’ un Silvio Berlusconi all’attacco quello che in tv parla del ‘dossier Ruby”, rilancia il capitolo delle riforme – giustizia in testa – come priorità dell’agenda di governo e aggiunge una rivelazione che forse in un altro momento da sola sarebbe valsa la prima pagina dei quotidiani: una donna che nella sua vita ha preso il posto di Veronica Lario. Ma c’è un altro messaggio, mediatico e politico: quello di Gianfranco Fini ospite di Fazio. Con molti riferimenti al Cav.
Nel videomessaggio ai Promotori della Libertà il premier smonta e contestualizza gli aspetti salienti del caso Ruby. C’è l’accusa ad “alcuni pm della Procura di Milano” ai quali contesta “una gravissima intromissione nella mia vita privata e in quella delle persone”, e la “volontà chiaramente persecutoria nei miei confronti”.
Ma perché? Il Cav. è convinto che molto del nuovo ciclone giudiziario sia stato determinato dal fatto che “evidentemente non è piaciuto il voto di fiducia del 14 dicembre tanto che, subito dopo, mi hanno iscritto nel registro degli indagati”, così come la decisione della Consulta sul legittimo impedimento “al punto che, il giorno successivo alla sentenza, con una tempistica perfetta, hanno reso pubbliche le loro indagini”. Altro rilievo procedurale: “Gravissimo e inaccettabile che, trascorsi 15 giorni, non abbiano mandato gli atti di queste indagini al Tribunale dei Ministri, come prescrive la legge”. E per smontare le accuse, ricorda come il dirigente della polizia che “sarebbe stato ‘concusso’ nega di esserlo mai stato, e la persona minorenne (cioè Ruby, ndr) nega di aver mai avuto avances, tantomeno rapporti sessuali e afferma di essersi presentata a tutti come ventiquattrenne, fatto avvalorato da numerosissime testimonianze”.
Ma c’è spazio anche per un passaggio sull’uomo Berlusconi, la cui vita da imprenditore ha insegnato “quanto sia difficile affermarsi per una persona giovane, soprattutto agli inizi, perciò, quando posso cerco di aiutare chi ha bisogno. In particolare, conosco il mondo dello spettacolo e so cosa vuol dire e cosa succede a chi cerca di lavorare in quell’ambiente. Nella mia vita ho dato lavoro a decine di migliaia di persone e ne ho aiutate a centinaia. Mai in cambio di qualcosa se non della gratitudine, dell’amicizia e dell’affetto. E continuerò a farlo. E’ assurdo solo pensare che io abbia pagato per avere rapporti con una donna. E’ una cosa che considererei degradante per la mia dignità. A me piace stare con i giovani, mi piace ascoltare i giovani, mi piace circondarmi di giovani. Alcune di queste persone le conosco da diversi anni, altre da meno tempo, ma di molte conosco la situazione di disagio e di difficoltà economica. Le ho aiutate in certe occasioni e sono orgoglioso di averlo fatto”.
Una sottolineatura che ha un valore preciso anche in punto di diritto e sulla quale è facile ritenere che i suoi avvocati punteranno molto nei prossimi giorni. Il riferimento vale per le ragazze finite nel mirino della procura ma anche per Emilio Fede, Lele Mora e la consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti (anch’essi sotto inchiesta). Il primo lo definisce un “amico carissimo da sempre”, il secondo una persona che conosce da tempo e che ha aiutato “in un momento di grande difficoltà economica e di salute” e che “quando potrà, mi restituirà quanto gli ho prestato”. Infine la Minetti che secondo il Cav. “sta pagando ingiustamente il suo volersi impegnare in politica”. Già, la politica. E’ il passaggio forse più appassionato del ragionamento del premier che tocca il tasto di un’anomalia tutta italiana, irrisolta da vent’anni: il conflitto tra politica e giustizia.
“In un Paese libero e democratico è inaccettabile che la Procura faccia in modo che vengano divulgati frammenti di telefonate private di tutte queste persone che hanno osato venire a casa mia”. Anche perché “accade spesso, come è noto a tutti, che quando si parla al telefono si usino toni e modi diversi rispetto al dialogo diretto tra persone". Un rilievo per ricordare che “certe frasi, pronunciate in tono magari scherzoso, sono completamente diverse quando vengono lette sulla stampa nelle trascrizioni. E molto spesso nelle conversazioni private, tra amici, ci si vanta magari per gioco di cose mai accadute o si danno giudizi superficiali per amore della battuta”.
Il punto è un altro e Berlusconi lo scandisce quando giudica “gravissima, inaccettabile, contro la legge questa intromissione nella vita privata delle persone. Perché quello che i cittadini di una libera democrazia fanno nelle mura domestiche riguarda solo loro. Questo è un principio valido per tutti e deve valere anche per me”. Poi la rivelazione che a molti nell’inner circle berlusconiano è parsa una novità. “Da quando mi sono separato, ma non avrei mai voluto dirlo per non esporla mediaticamente, ho avuto uno stabile rapporto di affetto con una persona che ovviamente era assai spesso con me anche in quelle serate e che certo non avrebbe consentito che accadessero a cena, o nei dopo cena, quegli assurdi fatti che certi giornali hanno ipotizzato”.
“Non si può andare avanti così” è l’affondo del Cav. sulle toghe milanesi additate come una “casta di privilegiati” che “può commettere ogni abuso a danno di altri cittadini senza mai doverne rendere conto. Non è un Paese libero quello in cui quando si alza il telefono non si e’ sicuri della inviolabilità delle proprie conversazioni. Non è un paese libero quello in cui alcuni magistrati conducono delle battaglie politiche usando illegittimamente i loro poteri contro chi è stato democraticamente chiamato a ricoprire cariche pubbliche”. Anche per questo rilancia il tema delle riforme da fare “immediatamente, tra cui anche quella della giustizia, che rendano il nostro Paese anche sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali di ogni cittadino simile alle altre grandi democrazie. Noi ci impegneremo strenuamente per fare tutte queste riforme”.
Qualche ora prima del videomessaggio, il presidente della Camera registra la conversazione con Fazio a “Che tempo che fa” e sul ‘dossier Ruby’ spara le sue cartucce: “Vada a difendersi dai magistrati, come ogni cittadino” per scongiurare “una telenovela permanente”. Eppure non ci pare di ricordare che lui abbia fatto altrettanto ai tempi dell’inchiesta sulla casa di Montecarlo. Il presidente della Camera parla a 360 gradi e forse il caso Ruby gli dà l’occasione per rialzare il tono e ribadire il solco profondo che lo separa da Berlusconi e dal Pdl.
Non esclude il ricorso al voto ma lo ritiene un “fallimento della legislatura e del governo Berlusconi” e soprattutto domanda “a chi servono oggi le elezioni? A Berlusconi che ha timore del processo? Non credo sia nel novero delle cose utili. E certamente non agli italiani che cercano una soluzione ai problemi”. Fini osserva che “la maggioranza che per quanto risicata con tre voti, c’è, si mostrerà capace di governare o vorrà andare a votare se ne assumerà la responsabilità”. E però, la sollecitazione sembra più rivolta ai suoi e ai nuovi sodali terzo polisti che alla maggioranza. Tanto è vero che subito dopo esclude un’emorragia da Fli per il gruppo dei ‘responsabili’ e individua in quella con Casini e Rutelli “un’alleanza per il domani” escludendo che il leader centrista possa entrare al governo.
Infine ribadisce il no sulle sue dimissioni che, ironia della sorte, adesso gli chiedono anche alcuni dei suoi fedelissimi in una lettera che circola da giorni e che Fli fino ad ora non ha smentito. La richiesta è netta: lasci lo scranno più alto di Montecitorio e si occupi a tempo pieno del partito perché nessuno tra i futuristi, specie quelli in periferia, ha intenzione di “morire democristiano”. Casini docet.