Il Cav. chiede nuove regole per il voto dei parlamentari. Fini lo boccia
10 Marzo 2009
Esordisce con una battuta: “C’è qualcuno che ha mal di pancia?”. Scherza Silvio Berlusconi, ma il riferimento neanche troppo indiretto, corre ai movimentismi che scandiscono la marcia di avvicinamento al d-day congressuale del Pdl. Come a dire che non c’è tempo per le polemiche, tantomeno quelle strumentali, perché il percorso è già tracciato, certificato nelle urne dagli elettori ancor prima dell’elaborazione che impegna la classe dirigente del partito che si sta costruendo. Giusto discutere, confrontarsi, ma indietro non si torna.
Perché “il Pdl sarà la cosa più importante che lasceremo alla storia del Paese”, scandisce. All’assemblea dei parlamentari al Teatro Capranica, il premier chiude una giornata di confronto dalla quale emerge chiaro il ruolo di “cinghia di trasmissione tra partito e governo” che i gruppi del Pdl alla Camera e al Senato stanno portando avanti (lo hanno ricordato Cicchitto e Quagliariello). L’elemento non sfugge a Berlusconi che ai successi elettorali del Pdl (dalle politiche alle amministrative di Roma, dall’Abruzzo alla Sardegna) aggiunge il riconoscimento dell’operato dei gruppi parlamentari: “Vinciamo ogni volta alla Camera e al Senato con il gruppo più importante e grande della storia della Repubblica”.
Ma c’è una proposta che il Cavaliere introduce sul tema, attualissimo, della riforma dei regolamenti parlamentari con l’obiettivo di velocizzare l’approvazione delle leggi e sul quale si registrano già umori diversi nelle file del Pdl, ad esempio con lo stop arrivato da Fini. La proposta prevede che si riconosca nel solo voto del capogruppo il voto di tutto il gruppo che rappresenta. “Chi è contrario – dice il premier – può venire in aula per esprimere il suo no o per astenersi”. E argomenta: “Capisco che dopo 70-80 votazioni, una persona che non è tuttologa possa anche deprimersi. Ecco perchè propongo uno snellimento e cioè che molti voti si facciano nelle commissioni, mentre il voto finale in aula e con questo sistema ovviamente non ci sono sorprese”. Il ragionamento torna poi al partito unico dei moderati, “una grande forza politica di libertà, che il nostro paese non è riuscito ad avere dal ‘48 ad oggi”, che consentirà di innalzare l’Italia “a livello delle grandi democrazie occidentali, con la bipolarità che garantisce il massimo della democrazia”. Il profilo del nuovo soggetto politico è chiaro e il premier lo rimarca quando dice che il “Pdl sarà il vero partito della gente, non dovrà conoscere correnti, posizioni di potere, potentati”.
Già, il concetto della forma-partito. Il vicepresidente vicario dei senatori Gaetano Quagliariello considera riduttivo lo schema del 70-30 e invita a far prevalere la politica. Cita Guareschi, con le armate organizzate di Peppone da un lato e la spontaneità di don Camillo dall’altra, per dire che questo partito, fermo restando l’importanza delle regole, almeno per alcuni anni dovrà continuare ad essere come il partito del parroco della bassa reggiana. L’altro aspetto che considera strategico sta nella cornice culturale da dare al partito unico.
Il Pdl non può essere una forza culturalmente omogenea, bensì deve saper rappresentare le grandi concezioni che si sono incontrate nel ’94 in un momento di emergenza ed hanno imparato a conoscersi trovando “una sintesi in una sola delle grandi famiglie europee, quella popolare”. Il riferimento corre alle “grandi tradizioni anticomuniste , il liberalismo, il cattolicesimo, il socialismo umanitario, il nazionalismo” alle quali si aggiungono le culture di quei “giovani che non sono più ex”. Sta in questo, cioè nella capacità di mettere insieme “la cultura degli ex e quella dei giovani” legandole all’azione di un governo “capace di rispondere ai nuovi problemi che la società del ventunesimo secolo ci pone davanti”, la sfida che il Pdl deve saper cogliere. Anche per il vicepresidente vicario dei senatori i gruppi parlamentari rappresentano lo snodo fondamentale tra il leader e la classe dirigente che sta sul territorio, sono la “cinghia di trasmissione tra la capacità organizzativa del partito e il governo”. Le regole servono, ma avverte Quagliariello, non vanno trasformate in una prigione. Così come pensare ad un partito dei blog o di internet non è la dimensione fondamentale sulla quale proiettare la nascita di una forza politica a vocazione maggioritaria che si candida a rappresentare il 40-50 per cento degli elettori. Altra “mission” che Quagliariello assegna al Pdl sta nella capacità di imprimere in questa legislatura l’ammodernamento delle istituzioni che si traduce nella necessità di mettere mano alle riforme costituzionali. Non si appassiona al tema della leadership post-berlusconiana che pure agita le file del Pdl, specie dalle parti di An, e taglia corto citando Battisti: “Lo scopriremo solo vivendo”.
Lo stato dell’arte nella costruzione del nuovo soggetto politico torna nell’analisi del reggente di An Ignazio La Russa. Lo schema è saldamente ancorato a “chiari riferimenti valoriali” con regole “ben precise ma snelle”. Un percorso di elaborazione che fin qui non ha nascosto o minimizzato le criticità che un progetto del genere comporta. E ai parlamentari chiede uno sforzo maggiore nelle tappe di avvicinamento verso la nascita di “un grande partito che tutti noi abbiamo sognato prima ancora che vi fossero le condizioni per farlo”.