Il Cav: commissione d’inchiesta sui pm. Muro dei finiani, il voto si ri-avvicina
03 Ottobre 2010
La fiducia in Parlamento sui punti programmatici è stata lo spartiacque per capire se portare avanti la legislatura oppure accelerare sul crinale del voto anticipato. Ora è il ‘come’ sul quale il premier dovrà testare la solidità della maggioranza che alla Camera e al Senato ha allargato i propri confini sostenendo l’azione dell’esecutivo.
Berlusconi conta su quei “si” come vincolo di lealtà agli elettori e al programma di governo, vuole andare avanti sulla strada delle riforme ma non intende farsi cucinare a fuoco lento. E l’avvio della fase due, se si misura sul capitolo giustizia, non fa ben sperare. La richiesta di una commissione parlamentare d’inchiesta sui pm politicizzati che il Cav. annuncia dal palco della festa nazionale del Pdl rimbalza contro il muro di finiani, opposizione e Anm.
L’ipotesi di elezioni anticipate resta tutta sul campo, Berlusconi lo dice chiaro quando spiega che d’ora in poi si tratterà di una verifica quotidiana della lealtà di Fli e se non ci saranno “atti congrui, torneremo subito al voto”. Al netto dell’enfasi del comizio davanti al suo popolo, l’impressione è che ieri da Milano sia partito il primo atto di una campagna elettorale, sebbene ancora in nuce. Gli indizi ci sono tutti: l’affondo su certi pm che “vogliono eliminarmi dalla vita politica, come nel ‘94”; la mobilitazione territoriale con l’annuncio dei 61 team del Pdl in altrettante sezioni elettorali; il no netto a ribaltoni e governi tecnici; l’incitamento a ritrovare lo spirito del ’94 e la conferma dell’impegno nella difesa dei temi della vita, della famiglia, della solidarietà che suona come un messaggio diretto all’elettorato cattolico; l’invio di un opuscolo alle famiglie con le cose realizzate dal governo e l’attacco frontale ai democrat che “non hanno un leader, assecondano gli isterismi di Di Pietro e Vendola e fanno l’occhiolino a Fini e Casini”.
Tutti tasselli che un Berlusconi-caterpillar ha messo in fila suonando la carica ai suoi. Rispetto ai toni concilianti di qualche giorno fa, quelli di ieri sono sembrati più moniti che inviti alla collaborazione. Della serie: si procede, senza i se e i ma che dopo lo strappo dei finiani hanno indebolito governo e maggioranza. “Andremo avanti, abbiamo il dovere di farlo per cambiare questo Pese. Neppure un passo indietro”, ha dichiarato Berlusconi. Tuttavia il fatto che non vi sia stata alcuna correzione delle parole di Maroni (come avvenuto invece la settimana scorsa sull’accelerazione di Bossi) secondo il quale tre settimane sono un tempo più che sufficiente per verificare la lealtà della maggioranza sugli impegni approvati in Parlamento con la fiducia al governo, sono il segnale che lo show-down elettorale non è stato affatto archiviato.
Seppure come extrema ratio, dopo ciò che di “incomprensibile” è accaduto, togliendo forza a un governo e a una maggioranza “solidissimi”, è il leit motiv del premier. La parte più corposa del suo intervento è stato l’affondo su certi magistrati politicizzati da cui scaturisce la richiesta di una commissione parlamentare che “indaghi su cosa è accaduto in questi anni” e su quel “potere dentro la magistratura che ci tiene sotto scopa”. La riforma della giustizia resta una sfida alla quale il premier non intende sottrarsi, dal momento che – ha rilanciato dal palco di Milano – sulla democrazia “c’è un macigno, forze che usano la giustizia per eliminare dalla vita politica un protagonista che a loro non va bene, forze che hanno fatto patti con chi sta in politica garantendo protezione”.
E ancora: “La sovranità è stata trasferita dal popolo ai pm. Se una legge non piace, loro la impugnano e ricorrono alla Corte Costituzionale formata, lo sappiamo tutti, da undici giudici di sinistra che sotto la pressione dei pm di sinistra abrogano le leggi”. La replica che i futuristi affidano al capogruppo Italo Bocchino è altrettanto netta: no secco sulla commissione parlamentare d’inchiesta perché la magistratura è “il baluardo della legalità e della sicurezza”.
Se queste sono le premesse, più che dialogo e tregua, l’impressione è che da oggi in poi nel centrodestra si riapra il muro contro muro. L’altro punto sul quale il Cav. non transige è l’ipotesi di governi tecnici e qui è possibile cogliere un messaggio rivolto in primis a Fini il quale proprio ieri da Marino ha dichiarato di considerare legittimo che il Parlamento possa cambiare la maggioranza. Questione che incassa in tempo reale l’apprezzamento del Pd Enrico Letta che non vede l’ora, una volta nato il partito del presidente della Camera (l’atto preliminare avverrà domani) , avviare un confronto sulla legge elettorale sedendosi a quel tavolo dove l’Udc Casini si è già prenotato un posto.
Apertura che in molti nella maggioranza leggono come strumentale alle convergenze parallele sull’ipotesi di un governo di transizione. Ma il premier anche su questo è pronto a dare battaglia: “La sinistra chiede dal Parlamento, dai suoi giornali, dalla Rai che è pagata con i soldi di tutti gli italiani che al posto del governo che ha avuto il mandato dagli italiani si crei un governo tecnico che metta insieme le forze che le elezioni le hanno perse” ha rilanciato da Milano. E oggi a Roma, affinerà la strategia. Con o senza i futuristi.E lasciando accesi i motori della macchina elettorale.