Il Cav. consegna il Pdl ad Alfano per costruire il partito dei moderati
01 Luglio 2011
Non era scontato a distanza di un anno tornare nello stesso luogo dove si è consumato lo strappo con Fini che solo un anno prima era sul palco col Cav. a fondare il Pdl. Non era scontato tornare nello stesso luogo dopo aver attraversato il mare in tempesta di un addio che ha lasciato il segno nel partito, esponendolo a tensioni interne, prove parlamentari che ogni volta sembravano definitive, e nel governo. Non era scontato tornare nello stesso luogo e avere qualcosa di nuovo da dire e da fare dopo la batosta elettorale e referendaria, dopo lunghi mesi di assedio mediatico-giudiziario finalizzato a cambiare con una manovra di palazzo ciò che gli elettori hanno scelto democraticamente.
Non era facile ripartire da lì, fare i conti con un partito che strada facendo ha perso appeal e consenso, un partito da ripensare e riorganizzare. Un partito da rilanciare, preservandone il patrimonio culturale- identitario e proiettarlo nel futuro, quello prossimo (2013) e quello che verrà (il dopo-Berlusconi). Non era scontato dopo mesi di fibrillazioni interne, correnti, insoddisfatti, malpancisti, delusi, incazzati. Non era scontato tornare a sentire lo spirito del ’94. E se perfino “l’eretico” Galan che su questo tasto non ha lesinato critiche dice all’Occidentale che “oggi è un gran giorno, ho risentito quello spirito ancora vivo e Alfano è la persona giusta al posto giusto” c’è da ritenere che le cose stiano veramente così. L’unica a non capirlo o a fare finta strumentalmente è l’opposizione che liquida ciò che è successo all’Auditorium della Conciliazione con la solita frase d’ordinanza: teatrino della politica.
Non era scontato provare a farlo con tre parole-chiave che infiammano la platea degli oltre 1200 delegati Pdl: merito, regole, sanzioni. Le scandisce Angelino Alfano nel giorno dell’elezione per acclamazione a segretario politico. Ne aggiunge altre tre che fanno scattare in piedi l’intero Consiglio nazionale: partito aperto, garantismo che non può diventare impunità e valorizzazione dei giovani non per precetto ma per valore. Parole la cui forza finora sembrava affievolita e che adesso risuonano come un nuovo manifesto di intenti. C’è la prova dei fatti a dire se sarà veramente così, ma è un dato da registrare averlo affermato con l’autorevolezza di un segretario attorno al quale tutto il partito ha fatto quadrato. Un segretario con un mandato pieno (oltre i tecnicismi del quorum peraltro abbondantemente superato, che da statuto prevedono il voto dei due terzi degli aventi diritto: 1017 i registrati su 1200). Un solo no nella marea di cartellini gialli agitati in platea: un no non ad Alfano ma alla modifica dello Statuto. E’ quello di un consigliere regionale (Pedicino), anche se non si è ben capito se scherzasse o facesse sul serio o magari avesse deciso di prendersi il suo momento di gloria.
La revisione della ‘carta’ del Pdl assegna ad Alfano pieni poteri: sotto di lui i tre coordinatori nazionali (Bondi, La Russa e Verdini) ai quali il segretario assegnerà deleghe operative. Il livello politico è nelle sue mani e la chiave del mandato sarà la capacità di dialogare e fare sintesi tra le diverse componenti del partito che per settimane hanno tentato di esercitare il proprio peso negli assetti interni al nuovo organigramma. Il primo segnale c’è quando Alfano parla di squadra, confronto, collegialità e soprattutto partecipazione. Il che non significa dire che si cambia perché nulla cambi, perché se c’è una cosa che a tutti oggi è risultata chiara è che il Guardasigilli (ancora per poco) è intenzionato a tenere la barra dritta e ferma. Nel segno della continuità ma anche dell’innovazione.
E allora ecco il suo sì alle primarie, l’insistere nella visione di un “partito del merito e del talento” e l’idea di prospettiva che si traduce nell’avvio di una “grande costituente popolare che faremo con chi ci sta”. Oggi i niet di Casini non sono un problema, tantomeno “vogliamo dai moderati una risposta immediata perché non siamo a un telequiz e perché il nostro progetto è serio”, dichiara Alfano. Un concetto già espresso da Gaetano Quagliariello: “Il punto è che non dobbiamo guardare alla contingenza ma lavorare alla prospettiva”. Perché “riuscire a fare un grande partito dei moderati nel solco del Ppe non serve a decidere il prossimo candidato premier o chi sarà il prossimo presidente della Repubblica”, ribadisce il vicepresidente dei senatori Pdl.
L’era Alfano coincide con la fase due del Pdl, passato dalla svolta del predellino alla fondazione in una manciata di mesi, con tutto l’armamentario degli equilibri tra ex e il misurino del mix tra partiti con storie diversi diventati uno per aggregazione. Da oggi la logica del 70 a 30 finisce in soffitta, “oggi siamo 100 per cento Pdl” rivendica con orgoglio Alfano. E’ quello che la platea vuole sentirsi dire, ora andrà dimostrato coi fatti. Il segretario lo fa comunque intendere quando dice no al partito delle tessere e sì ad un partito con dosi massicce di partecipazione popolare in modo tale che “vinca chi ha i voti e non chi ha i soldi”; quando santifica l’elezione diretta dei coordinatori e le primarie che però – avverte – non sono il fine ma il mezzo. Il fine è organizzare meglio la partecipazione e vincere le elezioni. Ed è qui che Berlusconi affida la mission ai suoi: vincere le amministrative del prossimo anno come passaggio “prodromico alle politiche”.
Il discorso del capo è la rivendicazione di una scelta di campo fatta venti anni fa e l’orgoglio di un governo che pur in un mare di difficoltà, alle prese con la stretta di una crisi economica internazionale che ha fiondato l’Europa nella dimensione del rigore e dei tagli alla spesa pubblica, non ha messo le mani nelle tasche dei cittadini, ha tutelato i risparmi delle famiglie e ha tenuto i conti in ordine, evitando il default della Grecia .
E se buona parte dei paesi europei – spiega il premier – hanno affrontato il peso della crisi licenziando dipendenti pubblici o tagliando del 25 per cento i loro stipendi, innalzando l’età pensionabile, aumentando l’Iva anche di sei punti, riducendo le risorse per sanità ed enti locali, “in Italia questo non è accaduto”. Parlando della manovra che ora approda in parlamento e sulla quale il governo metterà la fiducia, una manovra che sarà “aperta al contributo di tutti purchè siano proposte di buon senso” in linea con l’obiettivo del pareggio di bilancio, ricorda il punto sulle agevolazioni per i giovani che vogliono fare impresa, come segno tangibile dello sforzo a coniugare rigore e crescita. E il ministro Meloni che ne è l’ispiratrice lo rimarca definendolo un progetto unico a livello europeo. Una goccia nel mare, si dirà, ma in tempi di crisi è un sostegno importante che non può essere minimizzato o sottovalutato demagogicamente. Ai costi della politica – annuncia – lavorerà una commissione ad hoc che monitorerà anche cosa accade nei sei principali paesi europei.
Cosa fare da qui in poi? Domanda retorica che contiene già la risposta e che Berlusconi articola su tre livelli: il governo che andrà avanti nel rispetto del programma elettorale (“se cadesse oggi saremmo preda degli speculatori internazionali”); il parlamento dove c’è una maggioranza anche se – ammonisce – non dovranno più capitare scivoloni come quello sulla legge comunitaria (lettera di richiamo inviata ai 27 deputati assenti ingiustificati); il partito che deve “riorganizzarsi, forse siamo stati distratti dalla diaspora e da un anno difficile, ma dobbiamo fin d’ora e preparare bene le amministrativa del prossimo anno, segnando punti”. Le riforme: fisco, architettura istituzionale, giustizia con un’accelerazione sulle intercettazioni che “oggi non sono degne di un paese civile”.
Infine un passaggio sul suo “lascito politico”, quando sarà. E’ il sogno che Berlusconi non ha mai abbandonato e che non vuole resti la sua imcompiuta: il grande partito dei moderati. E’ lui a chiamare sul palco Angelino Alfano consegnandogli un partito, anzi, il partito che venti anni fa aveva immaginato e che ora è realtà. Presente e futuro nelle mani di un quarantenne che a 23 anni vedendo Berlusconi in tv decise di fare politica e di aderire ai valori che oggi sono il dna del Pdl.
Il Cav. c’è e ci sarà, ma è un fatto che su quel palco davanti al suo popolo non sta più da solo, al suo fianco c’è un segretario politico al quale idealmente consegna il testimone. Perché porti il berlusconismo anche oltre Berlusconi. E’ l’immagine che chiude il Consiglio nazionale e apre una nuova era.