Il Cav. convinca Monti a guidare l’area dei moderati contro la sinistra
23 Ottobre 2012
Mi sono convinto che Silvio Berlusconi sia nuovamente vittima di un subdolo attacco mediatico. I <retroscenisti> dei grandi quotidiani (compreso quello <di famiglia>) lo descrivono chiuso a Palazzo Grazioli, intento a esaminare bozzetti di simboli e a valutare dei nomi per il nuovo partito, destinato a risorgere più forte e gagliardo di quello vecchio, promuovendo liste di uomini anch’essi nuovi (pare che le donne, invece, siano più o meno sempre le stesse) appartenenti ai mondi del lavoro, dell’impresa e delle professioni.
Siamo, dunque, alle solite: di un imprenditore di successo che, divenuto leader politico, ha cambiato la storia del Paese e governato l’Italia per anni, si traccia la consueta caricatura. Non posso pensare, infatti, che il Cavaliere si prepari a lanciare una nuova proposta politica come se si trattasse di un dentifricio o di un detersivo. Sarebbe, poi, ancor più singolare dare credito alle voci maligne che attribuiscono a Daniela Santanchè o, peggio ancora, a Mariarosaria Rossi di essere interpreti del pensiero di Silvio.
E’ vero che il Cav. non è mai stato molto felice nella scelta dei più stretti collaboratori; ma c’è un limite a tutto. Quanto poi all’idea di dar vita a una nuova formazione politica, liquidando il Pdl alla stregua di una bad company in cui sistemare gli esuberi, è consigliabile che Silvio Berlusconi rifletta sulla storia del Paese nel dopoguerra.
Durante la Prima Repubblica, per anni, sopravvisse un partito monarchico (che riuscì persino a essere determinante nella elezione di un Capo dello Stato), di cui, però, si è persa persino la memoria. Ripercorre – mutatis mutandis – l’esperienza di Alfredo Covelli, leader di quel partito di nostalgici di Casa Savoia, non sarebbe una maniera consona, per uscire di scena, da parte di una personalità come Berlusconi che pur ha svolto un ruolo tanto importante nel sistema politico italiano. Ecco perché siamo più propensi a credere a un’altra versione del Cavaliere: quella del leader che, a suo tempo, ha investito come suo successore Angelino Alfano, ha consentito, poi, la costituzione del governo Monti, ne ha appoggiato il difficile cammino anche a costo di imporre tale linea di condotta a un partito riottoso, ha dichiarato, infine, di essere pronto a fare un passo indietro se la sua presenza in campo (è così, purtroppo) sia di ostacolo alla costituzione di uno schieramento moderato in grado di impedire la vittoria di una coalizione di sinistra.
Vogliamo credere in un Silvio Berlusconi che ha capito, prima e meglio di tanti altri, che l’unica possibilità di sbarrare l’accesso al potere della coppia Bersani-Vendola (leggi Camusso-Landini) è quella di convincere Mario Monti a guidare l’area dei moderati, dando vita a una lista nazionale che raccolga quell’elettorato, tuttora maggioritario, ma deluso dai vecchi partiti: una lista che si disponga, in caso di vittoria, a continuare l’azione dell’attuale esecutivo – proprio quando la coalizione di centrosinistra si appresta a metterla in discussione – in una prospettiva di stabilità monetaria e di riforme strutturali, in coerenza con la strategia dell’Unione europea e quale premessa irrinunciabile per una politica di sviluppo.
E’ questo che ci aspettiamo dall’annunciato incontro (previsto per oggi, ndr) tra Monti e Berlusconi. Ma che cosa occorrerebbe fare se, per uno scherzo del destino cinico e baro, il Cavaliere fosse davvero quello che, razionalmente, sembra essere soltanto la sua caricatura? Dopo lo sconforto, ci resterebbe soltanto da ricordare ad Alfano che anche la crescita dei partiti, come la maturazione dei giovani, passa per quelle rotture che in psichiatria si chiamano <uccisione del padre>. Sono passaggi necessari, per lo sviluppo corretto della personalità non solo dei figli, ma anche di quella dei padri.