Il Cav. corregge il tiro su Alfano ma tra gli ex An rispunta la resa dei conti
14 Aprile 2011
A Palazzo Grazioli il Cav. riunisce i suoi. All’hotel Valadier lo stato maggiore del partito prova a superare malumori, a stoppare personalismi e fughe in avanti. Dalle parti del Pdl il clima resta teso anche se la parola d’ordine che rimbalza da una corrente all’altra è la stessa: unità. E come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco sono state le parole del premier sul ‘delfino’ Alfano e l’investitura di Letta per il Colle. Tanto che, visti gli effetti immediati, Berlusconi ci ha dovuto mettere sopra una pezza proprio nel giorno in cui la maggioranza si allarga con l’arrivo dei Liberal Democratici in uscita dal Terzo polo.
Ho solo risposto a una domanda che formulava un’ipotesi sulla successione, dice, rimandando al partito quando e se sarà, la designazione del futuro leader del Pdl. Ipotesi Alfano che tuttavia ha dovuto ridimensionare considerato che le conseguenze immediate rischiavano di chiudere peggio una settimana nata male, nella quale una sera sì e l’altra pure le fibrillazioni nel partito sono state il menù delle cene correntizie: Alemanno, Scajola, Matteoli, per chiudere col rendez-vous dello stato maggiore del partito e dei ministri pidiellini riuniti a tavola dai vertici dei gruppi parlamentari di Camera e Senato.
Una ‘manna’ per i ristoratori della Capitale che dal loro punto di vista (il business) sperano nel bis. Un po’ meno per la vita di un partito nato anche per archiviare le correnti e con la competizione elettorale alle porte (le amministrative) che inevitabilmente e con tutte le dovute proporzioni, rappresenterà un test di mid term per governo e maggioranza (oltretutto coi sondaggi che danno il Pd in rimonta e la Lega in calo nelle roccaforti del Nord).
Da un lato la corsa al riposizionamento negli assetti interni dopo l’uscita dei finiani che vede in lizza gli aennini, dall’altro i rapporti tra questi ultimi e i forzisti ma anche all’interno della galassia azzurra, nell’eterno dibattito sulla ripartizione delle quote di rappresentanza (70 a 30). In mezzo, lo scenario per la corsa alla successione del Cav. Piatti forti (per usare un termine incline alla ormai consolidata consuetudine delle riunioni conviviali) di una settimana ad alta tensione. Nel frullatore ci sono finite anche le dichiarazioni del Cav. alla cena con la stampa estera, sull’ipotesi di un suo passo indietro nel 2013 e della ‘promozione’ a potenziale premier ipotizzata per Alfano: effetto mixer.
Ma cosa c’è dietro? Le letture che corrono nei ranghi pidiellini sono sostanzialmente due. La prima: Berlusconi ha lanciato il sasso nello stagno di fatto per calmare le acque, ribadire che il collante è solo lui e richiamare tutti all’ordine, anzi all’unità. E da questo punto di vista, chi ha partecipato al vertice a Palazzo Grazioli, osserva come l’invito alla coesione sia stato ribadito con forza a tutti per sollecitare la massima concentrazione sulla road map da qui alla fine della legislatura, dopo aver incassato il sì della Camera al processo breve (restano le preoccupazioni su cosa farà Napolitano che ieri è sembrato mettere le mani avanti dichiarando che valuterà il da farsi quando vedrà il provvedimento in dettaglio): riforma della giustizia (con l’indicazione di riprendere l’iter parlamentare del ddl sulle intercettazioni), riforma dell’architettura istituzionale, riforma del fisco.
La seconda opzione, ritenuta più verosimile, rimanda al vecchio ‘vezzo’ del Cav. riassumibile nella massima latina ‘divide et impera’, cioè sparigliare il campo mettendo tutti in competizione per poi ottenere da ciascuno il massimo impegno (ricordate cosa successe nell’allora Forza Italia quando il Cav. sponsorizzò l’ascesa della Brambilla, solo per citare un caso?). Certo è che stavolta l’uscita su Alfano ha creato non poco scompiglio nella vita del partito. Prova ne è l’analisi alquanto fredda dell’ex An Altero Matteoli che liquida la pratica così: “Stimo molto questo giovane Guardasigilli. Detto questo, non è Berlusconi a dover dare una eventuale investitura”, perché secondo il ministro delle Infrastrutture occorre che sia un congresso ad assumere decisioni del genere, secondo la regola democratica. Tra gli azzurri Cicchitto e Gasparri minimizzano, confermando che Berlusconi non lascia e sarà lui il candidato premier anche nel 2013, mentre il diretto interessato getta acqua sul fuoco – anche per non ‘bruciarsi’ – sottolineando che non c’è stata alcuna investitura e che si tratta solo di indiscrezioni giornalistiche.
Il Cav. corregge il tiro e nel vertice a Palazzo Grazioli rassicura i suoi: “Non ho mai detto di aver nominato Alfano mio successore. Il Pdl è un partito democratico e sul futuro deciderà il partito”. Aggiunge una sottolineatura ironica per stemperare il clima: “Sarebbe il massimo che oltre a tutto ciò che mi attribuiscono, mi prendessi anche la colpa su chi verrà dopo di me”. Pratica chiusa, o almeno questo è l’auspicio ai piani alti di via dell’Umiltà. E se alla fine di una settimana movimentata tutti assicurano che le cene correntizie non sono fatte per aprire la guerra in famiglia, men che meno per discutere di leadership, sul tappeto restano alcuni nodi: dalla necessità di rilanciare il partito, a livello organizzativo e nel territorio, alla stagione dei congressi locali da molti ritenuta non più rinviabile, alla richiesta (ex aenne in particolare, ma pure gli scajoliani) di un assise nazionale che ridefinisca assetti, equilibri, incarichi.
Ma è soprattutto nella galassia aennina che si registrano i maggiori malumori, in una partita tutta interna all’ex partito di via della Scrofa. Matteoli ha riunito deputati e senatori della sua componente per ribadire che lo schema del 70 a 30 serviva all’inizio ma ora va superato, così come vanno fatti i congressi perché sarà lì che si determinerà chi gestirà il partito, anche a livello locale. Di fatto, un messaggio neanche troppo velato indirizzato a Ignazio La Russa. Nei suoi confronti resta una certa insofferenza per il doppio incarico di ministro e coordinatore, ruolo quest’ultimo che chi ha partecipato alla cena di mercoledì legge come un ‘potere’ decisionale che penalizzerebbe le altre anime aennine. Non è un caso che il brindisi finale dei matteoliani sarebbe stato dedicato al ‘patto’ con Gianni Alemanno (protagonista pure lui negli ultimi giorni di una serie di riunioni di corrente per ‘pesare’ di più nel partito) e Andrea Augello. Obiettivo: ottenere più rappresentanza e visibilità.
Ed è chiaro che se questo patto verrà confermato, si tradurrà in una sfida a La Russa e i suoi. Matteoli ripete di non avercela con nessuno e tuttavia tra i fedelissimi si parla di una sorta di manifesto politico con al centro la necessità di un cambio di passo nel Pdl, portato sul tavolo del partito come “contributo alla crescita” subito dopo le amministrative di maggio.
Quello dei congressi è un tasto sul quale batte il forzista Claudio Scajola pure lui critico su La Russa e tra i primi a innestare la fase di fibrillazione nella famosa intervista di qualche settimana fa nella quale ventilava l’ipotesi di gruppi parlamentari autonomi se le cose non fossero cambiate (che ieri ha confermato parlando con i cronisti assicurando di averla archiviata). L’ex ministro dello Sviluppo economico rivendica un riconoscimento politico (nel partito ma c’è chi tra i suoi deputati ipotizza la poltrona ministeriale delle politiche agricole, ancora vuota), rinvia il ‘chiarimento’ a dopo le elezioni ribadendo l’impegno a unire e non a dividere. E tuttavia appare chiaro che coi suoi sessanta parlamentari spingerà su alcuni punti: riorganizzazione del partito, coordinamento unico, scelte calibrate su una maggiore meritocrazia e rappresentatività. Che tradotto vuol dire: facciamo i congressi – e dunque contiamoci – prima che si può. Non è un caso se ieri ai piani alti di via dell’Umiltà, Verdini avrebbe indicato la road map congressuale: assise comunali e provinciali tra settembre e novembre, quella nazionale probabilmente nel 2012.
L’ultima cena della settimana è servita a fare sintesi. Almeno così nelle intenzioni di Gasparri, Quagliariello, Cicchitto e Corsaro che ieri sera hanno chiamato a raccolta i vertici del partito e i ministri pidiellini (c’era pure Scajola) per ricondurre il tutto alla parola d’ordine: unità. Concetto che lo stesso Quagliariello (suoi i moniti più severi contro personalismi e divisioni) scandisce ai cronisti arrivando all’hotel Valadier: “Siamo qui per fare reset”. Amministrative e agenda parlamentare non aspettano.