Il Cav. corteggia Erdogan ma per la Lega la Turchia è fuori dall’Occidente
13 Novembre 2008
Ieri il premier Silvio Berlusconi e il primo ministro Recep Tayyp Erdogan si sono incontrati per un vertice a Smirne in Turchia. Dall’incontro è emerso un rafforzamento dei rapporti tra i due paesi, sia da un punto di vista economico – corridoi energetici e piani di cooperazione industriale – sia di politica estera legata all’area del Mediterraneo, dei Balcani, del Caucaso e dell’Asia Centrale.
Il premier Berlusconi si è espresso favorevolmente rispetto a un maggiore coinvolgimento della Turchia in Europa, riaffermando l’impegno italiano nel sostenere l’ingresso di Ankara nella Unione Europea: "L’Unione senza la Turchia è impensabile – ha detto il premier – tenere questo Paese fuori dall’Europa sarebbe un grave errore". L’Italia, insomma, non vuole frenare il processo di adesione di Ankara perché questa mossa andrebbe contro gli interessi del Vecchio Continente.
Berlusconi ha preannunciato un’iniziativa italiana per sfoltire i capitolati che riguardano la Turchia e per dimezzare i tempi di adesione. I capitolati sono una serie di dossier che riguardano i parametri (economici, sociali, civili, eccetera) che Ankara dovrà soddisfare per venire incontro alle richieste dell’Unione. Tra questi ci sono alcuni paletti che la Turchia difficilmente riuscirà ad adempiere per esempio in materia religiosa.
Le dichiarazioni di Berlusconi hanno provocato una levata di scudi generale della Lega Nord da sempre contraria all’ingresso della Turchia in Europa. Ne abbiamo parlato con l’onorevole leghista Giovanni Fava che, dal maggio del 2008, fa parte della Commissione Difesa della Camera dei Deputati. Secondo Fava l’allargamento dell’UE verso la Turchia resta “un tema non negoziabile” e sottovalutare le sue implicazioni storiche, oltre che politiche, significherebbe compiere “un errore strategico di conseguenze inimmaginabili per la tenuta della società occidentale”.
Per Fava quella dell’esecutivo è una “posizione sbagliata” per diversi motivi. “Concettualmente,” prima di tutto, “visto che la Turchia non fa parte del territorio europeo, non ha nessun legame – anche geografico – con l’Europa, mentre appartiene a pieno titolo al territorio mediorientale”. Si potrebbe obiettare che Istanbul è sulla riva europea del Bosforo ma resta il fatto che "la Turchia è un paese troppo diverso dal resto degli stati membri dell’Unione per una serie di ragioni storiche, culturali e – non ultimo – religiose. Se dovesse entrare nell’Unione, l’Europa perderebbe la propria identità crollando sotto il peso di tensioni sociali insostenibili”.
Per il Carroccio c’è poco da negoziare: “Siamo radicalmente contrari all’ingresso della Turchia in Europa – dice Fava – e non da oggi. Già dalla scorsa settimana abbiamo avanzato un’interpellanza parlamentare al ministro Frattini che in passato aveva espresso delle aperture simili a quelle del premier Berlusconi.
Il problema non è tanto cosa comporterebbe l’ingresso di Ankara in Europa, per esempio in termini di flussi migratori, visto che “siamo già un Paese colabrodo”. Per Fava il vero colpo mortale sarebbe quello di “far pendere la geopolitica dell’Unione Europea verso il Medio Oriente” e magari essere costretti ad accettare delle “imposizioni ideologiche” che hanno poco a che fare la nostra storia e il quadro politico contingente.
“La Turchia è una democrazia aconfessionale – ammette il parlamentare leghista – ma in questo momento è guidata da un partito religioso”. L’AKP, il “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” di Erdogan al potere dal 2002. Una forza di centro destra conservatrice e religiosa che alcuni considerano una sorta di “Democrazia Cristiana” ma che, per gli osservatori più smaliziati, è fondamentalmente un partito islamista e anti-laico, erede di quel “Partito del Benessere” sciolto alla fine degli anni Novanta. La “normalizzazione” che Erdogan è riuscito a imporre con successo al suo Paese, dunque, nasconde molte ombre.
Di recente la Corte Costituzionale turca ha confermato che il primo ministro e altri esponenti governativi hanno compiuto atti contro la laicità dello stato per esempio promuovendo l’insegnamento religioso nelle scuole o cercando di abolire il divieto di portare il velo nelle università (senza successo). La Corte ha negato che Erdogan abbia "istigato qualcuno alla violenza" ed è per questo motivo che il partito di governo non è stato bandito dalla vita pubblica del Paese. L’AKP, d’altronde, ha sempre affermato di non voler creare uno stato islamico e si è impegnato per la promozione dei diritti umani e per avvicinare il paese agli standard delle moderne democrazie occidentali.
Ma il punto è un altro, a sentire Fava. Non si tratta di difendere “le coalizioni territoriali” come l’UE, visto che l’identità europea è già annacquata, quanto piuttosto di battersi in difesa dei “valori e della Storia della civiltà Occidentale”. Un’affermazione in continuità con altre prese di posizione della Lega Nord, per esempio sui destini dell’Albania e del Kosovo, altri due paesi a maggioranza musulmana candidati a entrare – nel lungo periodo – in Europa.
“C’è in gioco la sopravvivenza dell’Occidente – dice il parlamentare leghista – dobbiamo tenere alta la guardia ed evitare che si aprano delle brecce”. Ovviamente tenendo presente le ragioni di ‘realismo’ del governo Berlusconi, innanzitutto quelle di ordine economico e strategico, che hanno reso la Turchia un alleato dell’Occidente in funzione anti-russa.
“A rischio di essere banali – conclude Fava – diciamo no al multiculturalismo”. A tutte quelle teorie postmoderniste che, in questo ventennio, hanno disintegrato il concetto di identità. Annullando o neutralizzando le differenze tra i popoli in un unico miscuglio sovraculturale che se ne frega dei localismi, delle tradizioni popolari e delle "origini" storiche di una nazione.