Il Cav. dà la scossa al Pdl per non dare vantaggi a Bossi e Fini
12 Ottobre 2010
L’avviso ai naviganti di Silvio Berlusconi scuote le file del Pdl e arriva nella fase forse più delicata dalla sua fondazione, con lo strappo dei finiani a scompaginare il progetto di un grande partito popolare di massa, quel ‘partito degli italiani’ che il Cav. ha in testa da quindici anni. Gli "errori" che non stanno nel governo ma nel partito è la reprimenda che ha spiazzato molti dirigenti pidiellini e riaperto le polemiche interne.
Ma al netto delle parole declinate non senza una buona dose di enfasi dalla platea degli ex dc di Rotondi, c’è di più di ciò che in molti si sono affrettati a leggerci – e come spesso accade in questi casi – strumentalmente: una tirata di orecchi ai tre coordinatori nazionali, Verdini, Bondi e La Russa. Quanto basta per rimettere in pista il tormentone su ‘uno solo è meglio di tre’ e le fibrillazioni interne che ne conseguono.
Il concetto di fondo è un altro: una leadership forte che nonostante le difficoltà di questi due anni e mezzo è ancora in cima ai consensi, deve essere supportata da un partito altrettanto forte e coeso. E il Pdl in questi mesi è stato attraversato da una serie di forti turbolenze interne che poi sono sfociate con la scissione dei finiani. Un passaggio traumatico che ha finito per indebolire l’azione di consolidamento soprattutto a livello periferico e territoriale che, invece, dopo la vittoria delle regionali avrebbe dovuto essere la priorità. In quest’ottica il richiamo di Berlusconi viene letto come la sollecitazione riposizionare le forze in campo e a rilanciare la mobilitazione a tutti i livelli puntando su due aspetti: organizzazione e regole.
Anche perché “non possiamo permetterci di lasciare campo libero a Bossi e Fini”, spiegano ai piani alti di via dell’Umiltà ben consapevoli che il primo in caso di elezioni anticipate sarebbe un competitor diretto e temibile per il Pdl, specie al centro-nord, e il secondo già da mesi ha avviato una capillare strutturazione del futuro partito direttamente sul territorio provocando in molti casi il passaggio nelle file dei futuristi di molti eletti pidiellini, delusi dalla gestione del partito. Certo, gli errori ci sono stati e del resto lo stesso Berlusconi nel suo discorso alla Camera non si è tirato fuori, ma ridurre tutto alla questione del triumvirato che pure evidentemente non ha funzionato al meglio in tutti questi mesi – è il ragionamento di molti dirigenti – non è la sola via per risolvere i problemi.
Ecco perché Fabrizio Cicchitto avverte che aprire in questa fase “una vertenza sull’organigramma è l’ultima cosa che serve” lasciando intendere che ciò che serve, invece, è serrare i ranghi e non “aprire contese sotterranee”. Questo non vuol dire fare finta che ‘va tutto bene madama la marchesa’, come osserva Gaetano Quagliariello quando dice che la battuta di arresto che ha subito il partito è “insindacabile” perché c’è stata una crisi “drammatica che ha portato alla scissione di Fli”. Di errori ne sono stati fatti “da tutti e a tutti i livelli” ma cercare capri espiatori non è la panacea.
Per il vicepresidente dei senatori Pdl il punto è un altro: la legislatura è nata sulla base “della creazione di due grandi partiti che, con un accordo preventivo, hanno semplificato il sistema politico. Ma il fenomeno per stabilizzarsi avrebbe avuto bisogno di un’intesa duratura che portasse alle grandi riforme istituzionali. Ciò non è successo, mentre Pdl e Pd sono stati messi in discussione da dinamiche interne. I democratici farebbero bene a non tirarsi fuori dalla discussione anche perché siamo a una svolta”.
Quale? Il problema di fondo è capire adesso cosa fare: se tornare al vecchio schema della coalizione di partiti oppure come lo stesso Quagliariello rilancia “portare avanti il progetto del grande partito dei moderati”, guardando al centro e a quei moderati che stanno stretti nel Pd, diventando così un polo di attrazione. Altro motivo di riflessione: non c’è solo Futuro e Libertà che si sta strutturando nel territorio, a stretto giro e al Sud (storico serbatoio di consensi per il centrodestra) Gianfranco Miccichè metterà in campo il suo partito. Eppoi, dopo l’uscita dei finiani, nel Pdl c’è da capire come riequilibrare e armonizzare gli equilibri interni tra Fi e An.
Ecco perché – si ragiona nel Pdl – invece di aprire rese dei conti interne che specie adesso avrebbero l’effetto devastante di indebolire ulteriormente il partito, è meglio concentrarsi sul da farsi. Si comincia dalle regole e la tabella di marcia è già fissata: la prossima settimana l’ufficio di presidenza del partito avrà come punto all’ordine del giorno la ramificazione territoriale del partito: si procederà alla nomina dei coordinatori provinciali e regionali attraverso un meccanismo di elezione ponderata, alla convocazione dei congressi locali e all’apertura del tesseramento.
Tre passaggi operativi che dovrebbero rilanciare l’azione del partito e mettere un freno ai malumori sulla gestione che pure ci sono e che nei giorni scorsi si sono nuovamente palesati con le critiche del drappello di parlamentari “irrequieti” che chiedono un cambio di passo, a partire proprio da via dell’Umiltà. Il richiamo del Cav. è un campanello d’allarme, ma non c’è dubbio che a questo punto il Pdl, al netto dello strappo finiano, debba decidere da che parte andare. E una volta per tutte.