Il Cav. dà ripetizioni al Prof. e suona la prima campanella (del voto)

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Il Cav. dà ripetizioni al Prof. e suona la prima campanella (del voto)

22 Dicembre 2011

Prima Berlusconi, poi Bersani. Entrambi seppure da latitudini diverse al Prof. di Varese sventolano il cahiers des doleances: per il Cav. è il metodo unilaterale col quale il governo ha confezionato una manovra con molte tasse, poca equità, pochissima crescita; per Bersani è il tabù dell’articolo 18 e della riforma del lavoro sul quale pronuncia per la prima volta un minaccioso ‘altrimenti…’. Prove tecniche di voto anticipato? Per ora non sembrano all’orizzonte ma l’idea i partiti non la scartano a priori specialmente se a Palazzo Chigi il team dei professori dovesse procedere senza consultare preventivamente le forze politiche che lo sostengono.

Tradotto: né al Cav. né a Bersani va giù lo schema di un uomo solo al comando, men che meno il ruolo di ‘comparse’ in Parlamento chiamate a ratificare decisioni sulle quali lo spazio di manovra e di correzione (politica) è ridotto al lumicino. Come si è visto sulla manovra, che oggi passerà al Senato con la fiducia.   

Che tra Berlusconi e Monti – così lontani per stile e approccio – ci sia un certo feeling è qualcosa di più di una percezione. Fu il Cav. a nominarlo commissario europeo aprendogli così la ‘scalata’ a Bruxelles. E, a ben guardare, in questo primo mese a Palazzo Chigi, il premier ha tenuto conto di molte cose fatte e impostate dal precedente esecutivo. Sarà anche per questo che i due si intendono pur mantenendo reciproche distanze. Ma quello che l’ex premier è andato a dire al premier (e che qualche ora più tardi ha ripetuto nell’incontro con i senatori) è che prima di decidere bisogna trovare una sintonia tra le forze che per senso di responsabilità di fronte alla crisi globale, hanno scelto di sostenerlo. Insomma, il Cav. rivendica più collegialità e propone una ‘cabina di regia’ tra esponenti di governo, segretari dei partiti della maggioranza e capigruppo.

Due le ragioni di fondo. La prima: se da un lato non è in discussione la lealtà a un esecutivo di ‘missione’ (concetto ribadito al premier) ciò non vuol dire prendere per oro colato le determinazioni di Palazzo Chigi e limitarsi a ratificarle in Parlamento perché altrimenti ‘c’è il baratro’ (come lo stesso Monti da settimane va ripetendo). In sostanza, Berlusconi rivendica uno spazio ben definito alla politica in questa fase di transizione, all’interno del quale il Pdl possa avanzare e far pesare le proprie proposte. Un modo anche per sottolineare una volta di più che il governo tecnico deve muoversi nel recinto di un compito ben preciso che proprio la politica gli ha assegnato con la fiducia in Parlamento (dunque i tecnici non possono fare i politici, né ora tantomeno nel 2013 quando si voterà ammesso che lo show down non accada prima).

La seconda ragione sta nel tenere unito il partito e mandare messaggi chiari all’elettorato. Della serie: noi ci siamo ma non faremo sconti a nessuno. Un conto è la lealtà a un esecutivo in un tempo di crisi, un conto è fare la propria parte in modo costruttivo ma determinato. Berlusconi, insomma, vuole da Monti un coinvolgimento più attivo anche perché la manovra tutta tasse è l’antitesi di ciò che almeno per un certo periodo ha evitato da premier. Per questo ai senatori dice che se il governo andrà avanti in questa direzione, l’idea di elezioni anticipate sarà sempre più concreta. Lo ribadisce adesso e non è casuale visto che Palazzo Chigi si appresta a mettere a punto la ‘fase due’. Che sia proprio il Cav. a staccare la spina?

Scenario irrealistico secondo molti parlamentari pidiellini se si guarda alla ‘cura da cavallo’ che il Paese deve ancora digerire e alla reazione dei mercati. Ma certo, molto dipenderà per un verso da come Monti si muoverà nell’arco dei prossimi due mesi, soprattutto se dovesse servire una nuova manovra finanziaria; per altro verso da come e se si riallaccerà il filo con la Lega in vista delle amministrative di primavera. Sarà quello uno degli snodi strategici per comprendere la durata della legislatura. Ad oggi, l’asse col Carroccio sembra un ricordo del tempo che fu e pure ieri al Senato i lumbard hanno ripetuto la scena degli striscioni e degli insulti. Lega di lotta, come l’Idv.

E se il quadro dovesse mantenersi immutato, in molti ai piani alti di via dell’Umiltà non escludono l’ipotesi di correre da soli anche se con una certa preoccupazione, perché si teme una debàcle al Nord. Sul rapporto col Carroccio il Cav. non si sbilancia e quando ne ha parlato ufficialmente (non più tardi di una settimana fa) si è detto fiducioso di un recupero con Bossi, ma è pur vero che nel frattempo è bene attrezzarsi. Segnale che si può leggere nel passaggio in cui Berlusconi rilancia l’idea di un’alleanza con l’Udc sulla quale impegnarsi a fondo. Ma in mezzo c’è il bipolarismo che Casini vorrebbe spazzare via, dunque la strada resta in salita.

Con Monti il Cav. condivide le preoccupazioni sull’Europa per la linea ‘Merkozy’; ragion per cui sollecita la necessità di misure per rimettere in moto l’economia e tra queste considera importante la riforma del lavoro stigmatizzando le rigidità della sinistra e dei sindacati.

Già, la sinistra. Bersani mette i paletti per non finire sulla graticola democrat. Intanto stoppa la fuga in avanti della Fornero (costretta al dietrofront in poco meno di 24 ore) sull’articolo 18: “Qualcuno in giro pensa che licenziando si crei più lavoro, questa è un’assurdità”. Poi a Monti consiglia di trattare il dossier-lavoro in un’ottica di dialogo sociale. Infine smonta la cabina di regia: “Il regista ce l’abbiamo già, lasciamo stare la cabina…”. Se far digerire al popolo della sinistra la manovra lacrime e sangue del Prof. di Varese è esercizio complicato a Largo del Nazareno, la mossa di Di Pietro che si è smarcato passando all’opposizione e l’avanzata di Vendola per Bersani sono due mine da disinnescare. Obiettivo: non restare col cerino in mano e una potenziale premiership già bruciata.