Il Cav. difende il patto di Arcore ma il passo falso sulle pensioni riapre i giochi
31 Agosto 2011
Che fine ha fatto il patto di Arcore? In ventiquattrore dal decreto è sparita la norma sulle pensioni e parte di quanto deciso sembra tornato in alto mare. Rispuntano voci sulla tassa di solidarietà, quelle su una stretta contro l’evasione fiscale, altre sull’ipotesi di un concordato fiscale, altre ancora sulla possibilità di un innalzamento dell’Iva sui consumi di lusso.
Tutto e il suo contrario in una giornata ad alta tensione nella maggioranza. Con Berlusconi che affida ad Alfano e ai vertici dei gruppi parlamentari il compito di trovare la quadra sul capitolo previdenza che ieri mattina è stato stralciato dal decreto dopo le polemiche e il pressing di Cisl e Uil sul riscatto della leva militare e gli anni dell’università. Norma sparita definitivamente o congelata? Difficile capirlo per il momento, visto che dopo la decisione arrivata nel faccia a faccia al Tesoro tra Calderoli e Sacconi della questione ne dovrebbero riparlare oggi con Tremonti a margine del Consiglio dei ministri. Giornata movimentata a Palazzo Madama per i 1300 emendamenti da vagliare, per l’attesa sugli emendamenti del governo previsti per oggi, i conti da far quadrare, le proteste dell’opposizione. Il presidente del Senato Schifani sollecita tempi rapidi e il Colle sta monitorando la situazione.
A tarda sera, fonti di via dell’Umiltà riferiscono il ragionamento del Cav. alquanto preoccupato per la ridda di dichiarazioni di esponenti del centrodestra in un momento in cui, serve coesione e unità d’intenti. Ed ecco che il premier avrebbe ribadito che il patto di Arcore c’è e resta. Si tratta di apportare le limature necessarie dopo l’intesa Pdl-Lega e se anche la norma sulle pensioni si è rivelata non praticabile, la copertura all’intero impianto della manovra è reale. E come extrema ratio, lascia aperta la via dell’Iva.
Tutta un’altra musica dalle parti dell’opposizione secondo cui all’appello mancano 5 miliardi cui si aggiungono quelli venuti meno dalla cancellazione (parziale) della tassa di solidarietà. Ma nel centrodestra il capitolo previdenza non sembra chiuso del tutto, specie nel Pdl dove i frondisti insistono sull’innalzamento di due anni dell’età pensionabile. C’è un punto, comunque, sul quale il premier non sembra disposto a passi indietro ed è quello sulla tassa di solidarietà che ieri nella ridda di ipotesi, proposte, rivendicazioni, era parso tornare in pista. Berlusconi non lo ha mai digerito e certamente non intende farlo ora, dopo aver dichiarato – come ha fatto martedì – che non verranno messe le mani nelle tasche degli italiani. Il sospetto nel centrodestra è che sulla previdenza, a riaprire i giochi siano stati Bossi e Tremonti che ufficialmente ad Arcore avrebbero approvato la norma salvo poi lavorare sotto traccia per farla arenare. Sospetti, in una giornata dura per la maggioranza.
Per compensare il mancato gettito di 1,5 miliardi che sarebbe dovuto arrivare dalla norma sulle pensioni, il centrodestra punta al giro di vite sull’evasione fiscale. Come? Da un lato il ruolo dei Comuni nei controlli (anche attraverso la pubblicazione on line dei redditi dichiarati dai cittadini) e la conseguente quota di incassi qualora gli evasori vengano scovati. Sul piatto c’è poi una stretta sulle società di comodo introducendo norme più severe, che dovrebbe colpire i proprietari di beni di lusso che proprio attraverso un sistema di scatole vuote alimenterebbe il sistema di evasione ed elusione. E c’è perfino l’ipotesi del carcere per gli evasori, un pò come accade negli States.
Un giro di vite che va nella direzione di quanto fatto finora con un miliardo e passa recuperato e riportato nelle casse dello Stato. Ma anche qui bisogna che la manovra abbia una sua coerenza interna perchè la doverosa lotta all’evasione e all’elusione non si trasformi nell’eccesso opposto, cioè in uno stato di polizia tributaria perchè – è il ragionamento di Gaetano Quagliariello – apparirebbe schizofrenico e non in linea con la filosofia del ’94 il fatto da un lato di aver tolto il contributo di solidarietà e di aver alleggerito il peso delle ganasce fiscali e dall’altro introdurre un sistema di controlli pervasivo e oppressivo. C’è un altro punto sul quale il vicepresidente dei senatori Pdl è molto netto quando dice che la "maggioranza non farà sconti al governo". Non è tanto un messaggio in codice per Tremonti sulla manovra, bensì qualcosa che va oltre, cioè la rivendicazione del ruolo (e dell’autonomia) del Pdl nella sua capacità propositiva e di elaborazione progettuale e al tempo stesso della funzione di pungolo e di critica sulle scelte dell’esecutivo.
Oggi dunque, le ipotesi in campo dovrebbero trovare la loro collocazione definitiva. Insomma, governo e maggioranza dovrebbero chiudere il cerchio sugli emendamenti con aperture all’opposizione, come ad esea spending review. Speriamo, perché i continui stop and go non agevolano il pur complesso cammino della manovra, oltretutto con Bruxelles che anche ieri è tornata a sollecitare all’Italia più misure strutturali finalizzate alla crescita. Per non parlare della reazione dei mercati. Serve chiarezza e il coraggio delle scelte.