Il Cav. disinnesca la “mina” Brancher e prepara lo scacco matto a Fini

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Il Cav. disinnesca la “mina” Brancher e prepara lo scacco matto a Fini

06 Luglio 2010

La prima mina sul cammino della maggioranza è stata disinnescata e il Cav. tira un sospiro di sollievo. Le dimissioni di Aldo Brancher da ministro segnano un passaggio importante nella settimana clou per la maggioranza e consentono al premier da un lato di riannodare i fili del dialogo con il Quirinale, dall’altro di evitare la tagliola del voto parlamentare sulla mozione di sfiducia firmata Pd-Idv sulla quale avrebbe potuto convergere la pattuglia dei finiani. Coi quali domani nel vertice del Pdl il Cav. potrebbe arrivare al redde rationem.

Ma il passo indietro di Brancher caldeggiato da Berlusconi, nelle file del centrodestra, viene letto più come un segnale di apertura verso il Colle che nei confronti del presidente della Camera col quale per ora i rapporti sono ridotti a zero, nonostante i tentativi di mediazione sempre in campo. E sono in molti a ritenere che proprio in questa settimana si potrebbe arrivare a un redde rationem, forse già domani nell’ufficio di presidenza convocato sui dossier intercettazioni e manovra economica. 

L’addio del ministro del Decentramento dopo soli diciassette giorni dal giuramento nelle mani di Napolitano, ”favorisce l’impegno sulle più serie questioni che stanno sul tappeto” compreso il ddl intercettazioni che tuttavia deve ”superare le criticita’ alle quali ha accennato qualche giorno fa il presidente della Repubblica”, osserva Fabrizio Cicchitto  facendo intendere che il passo indietro chiesto all’ufficiale di collegamento tra Pdl e Lega si può intendere soprattutto in questa chiave e rappresenta un elemento di disponibilità rispetto all’appello di Napolitano affinchè sul ddl intercettazioni venga raggiunto un compromesso accettabile.

In altre parole, un modo attraverso il quale il premier conferma l’intenzione di sciogliere i rebus ai quali la maggioranza e il governo sono appesi ormai da settimane, senza alcuna concessione (ulteriore) alle richieste di Fini. Che anche ieri, per bocca dei suoi fedelissimi non ha perso occasione per intestarsi la "vittoria" (politica) sulle dimissioni di Brancher. Basta leggere le dichiarazioni arrivate un minuto dopo l’addio di Brancher a Palazzo Chigi del pasdaran Italo Bocchino convinto del fatto che questo sia il primo risultato che "va incontro alle nostre richieste" e fiducioso del fatto che "accadrà lo stesso su intercettazioni e vita interna del Pdl”.

Nonostante le certezze bocchiniane, il punto è che se la maggioranza ha lasciato la porta aperta a modifiche al ddl sugli "ascolti" non è certo per "piegarsi ai desiderata della componente di minoranza" – è il ragionamento ai piani alti di via dell’Umiltà – quanto piuttosto per evitare il rischio di nuove tempeste (Quirinale e Consulta) e chiudere la questione in tempi rapidissimi. Ma non è poi così scontato che si arrivi a rimettere mano al testo licenziato dal Senato e in questo senso c’è chi tiene il punto sul fatto che il Cav. non è più disposto a subire le rivendicazioni – ormai quotidiane  dei finiani.

Da parte sua, il presidente della Camera conferma la convinzione di non muoversi dal Pdl ed evitare le possibili trappole per farsi cacciare, come avverte Bocchino. Ma come se ne esce?  Negli ultimi giorni sono due le ipotesi che circolano con una certa insistenza negli ambienti della maggioranza. La prima prevede l’approdo dei finiani in gruppi parlamentari autonomi (idea ventilata qualche mese fa dallo stesso Fini) federati col Pdl sulla base di un patto politico che "blindi" la legislatura.

Ipotesi tuttavia che se da un lato potrebbe rappresentare una congrua via d’uscita, dall’altro appare in salita dal momento che i finiani ribadiscono la volontà di non uscire dal partito che hanno contribuito a fondare. E del resto, c’è pure chi osserva che non è poi così facile liquidare l’ex leader di An dal momento che nell’atto costitutivo del partito formalizzato davanti a un notaio, c’è anche la sua firma. La seconda ipotesi, più estrema, è che il Cav. possa decidere di fondare lui un nuovo partito lasciando quel che resta del Pdl al co-fondatore.

Si parlerà anche di questo nel vertice di domani a Palazzo Grazioli dove il premier – almeno questo è l’auspicio di molti dirigenti – potrebbe "dare scacco matto" a Gianfranco Fini.

Se questo è lo stato dell’arte nel Pdl, le tensioni non mancano neppure dalle parti del Carroccio dove l’uscita di Brancher dalla compagine di governo viene considerata come un "passo falso" del ministro Calderoli che su quella nomina aveva accelerato conducendo una operazione in solitaria – rilevano alcuni parlamentari leghisti – e non pienamente concordata col Senatur il quale a sua volta non avrebbe gradito gli effetti che nonostante l’apparente compattezza hanno riacceso una guerra di posizionamento tra i colonnelli.

Ora per Calderoli, spiegano alcune camicie verdi, c’è il rischio che si apra un periodo "di purgatorio" nelle file del partito padano.