Il Cav. e Bossi rilanciano l’asse del Nord e puntano su un nuovo progetto

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Il Cav. e Bossi rilanciano l’asse del Nord e puntano su un nuovo progetto

19 Maggio 2011

Il Cav. e il Senatur. Sul tavolo Milano e il dopo-voto. Ci sono voluti tre giorni per metabolizzare la ‘scoppola’ meneghina ma alla fine i due leader si sono visti e parlati: ballottaggi e rilancio dell’azione di governo. Questioni apparentemente distanti eppure mai così vicine come in questo momento, perché se l’avviso di sfratto alla Moratti dovesse tramutarsi in sconfitta, il governo non cadrà e tuttavia si imporrà un cambio di passo. Ciò che Berlusconi sa di dover fare, a cominciare dalla riforma fiscale. E la denuncia di Tremonti sulle "troppe ganasce fiscali" va in quella direzione.

A questo lavoreranno il premier e il leader della Lega, per ora i contorni sono tutti da definire ma ciò che il Senatur chiede è la messa a punto di un nuovo progetto. Che non passa da scenari – quanto meno improbabili – di staffette tra il Cav. e Tremonti o Maroni, né dalla vicepremership affidata a uno dei due, tantomeno da governi “allargati” o “alternativi”. Congetture, illazioni queste ultime, alimentate dalle sirene bersaniane per allontanare Bossi da Berlusconi o per far sì che sia proprio l’alleato di ferro a staccare la spina al premier. L’ennesimo tentativo che come già accaduto in questi mesi (fuori e dentro il Parlamento) finirà contro un muro e che la dice lunga sulla capacità del Pd di proporsi come forza alternativa di governo. Se questa è la via, Bersani andrà poco lontano. Congetture, illazioni che però arrivano anche dall’interno della maggioranza e sono il prodotto (più mediatico che politico) dei malpancisti ad honorem del Pdl che pure in questa fase così delicata con un test elettorale da portare a casa, da mesi si arrovellano sul dopo anziché pensare all’ora.

A ben vedere, Bossi non ha alcun interesse a mollare il Cav. perché strappare adesso, significherebbe rinunciare a quelle riforme che sono la ragion d’essere della Lega: non solo federalismo ma pure la revisione dell’assetto dello Stato, il Senato federale, la riduzione dei parlamentari, la riforma fiscale. Riforme che vuole anche il Cav., che chiede il paese, che servono alla Lega per incassare risultati al governo e consensi tra gli elettori. Ed è anche l’unico modo per “curare” i malumori della base leghista che oggi invoca un partito più di lotta che di governo. E’ lo scotto che “abbiamo pagato in queste elezioni” ammette un autorevole esponente del Carroccio, e cioè il fatto di “essere una forza che governa, che fa le cose, che produce provvedimenti ma poi se li vede cassare o modificare dalla Corte Costituzionale, la Cassazione o il Consiglio di Stato di turno, come avvenuto l’altro giorno con la sentenza che blocca la riconversione delle centrali di Porto Tolle. Una sentenza che ha dell’incredibile perché blocca due miliardi e mezzo di investimenti, quattrocento aziende già individuate e tremila posti di lavoro. Tutto ciò può dare al nostro popolo l’impressione che stiamo a Roma a non combinare nulla, non è così”. Dunque, non solo immigrazione e sicurezza, ma anche asset strategici per l’economia e revisioni costituzionali.

La via d’uscita si chiama ‘riforme’ e a sentire chi nella Lega ci sta da anni, “queste cose le possiamo fare solo con Berlusconi perché lo abbiamo già visto nel 2006 con la devolution poi affossata dal referendum e lo stiamo vedendo adesso. Lui queste cose le vuole fare”. Eppoi c’è il programma elettorale firmato dal Senatur e dal Cav., quel patto con gli elettori che non può essere tradito e che “ci impone il massimo rispetto” aggiunge il leghista doc che esclude ipotesi di intese con la sinistra, non a prescindere ma “con questa sinistra qua”. Per un semplice motivo: “Anzitutto perché l’esito del voto ci ripropone l’Ulivo 3 che abbiamo già visto e tutti sanno come è andata a finire; poi perché la sinistra di oggi non è quella di Lama o Berlinguer, è la sinistra giustizialista, quella dei radical chic, quella che non gliene frega niente del lavoro, degli operai. Questa sinistra qui, non ci dà alcuna garanzia, non è affidabile”.

Se dunque Bossi e Berlusconi sono destinati a stare insieme è il caso di mettersi “pancia a terra e lavorare sodo” su due fronti: da un lato ribaltare la situazione a Milano e conquistare Napoli, dall’altro definire il “nuovo progetto” per rimettere al centro l’azione di governo dopo un anno in cui la maggioranza ha dovuto fare i conti (politici) con la ‘guerra fredda’ di Fini, gli effetti di una crisi che non ha ancora mollato la presa, i conti pubblici da tenere in ordine per evitare di finire come la Grecia, l’assedio concentrico al Cav. nel tentativo di farlo fuori per via giudiziaria.  Certo, tutto ciò non può rappresentare una giustificazione valida all’infinito perché adesso, a prescindere da come andrà a Milano e Napoli, è il momento di riprendere in mano il programma e portarlo a compimento.

Berlusconi lo sa e forse non è un caso che Tremonti proprio ieri dopo il vertice a Palazzo Chigi, sia tornato a denunciare “le troppe ganasce fiscali” e l’eccesso di applicazione .Per il ministro dell’Economia occorre correggere alcune storture del sistema fiscale e la sintesi è: “meno ganasce, meno interessi passivi addebitati e un sistema più vicino alla condizione reale di tanti cittadini italiani”. In altri termini, dare piena attuazione al decreto Sviluppo (che approda in parlamento), primo passo verso la riforma fiscale tanto attesa e tanto necessaria al paese.

E il Cav.? Dopo il faccia a faccia col Senatur e il Consiglio dei ministri nel quale ha chiesto a tutti – Responsabili compresi – non solo massima coesione ma più presenza in Aula per evitare quanto accaduto martedì col governo battuto quattro volte a Montecitorio, ha riunito i suoi a Palazzo Grazioli per mettere a punto la strategia in vista dei ballottaggi. L’obiettivo è correggere gli errori di una campagna elettorale giocata troppo sui temi nazionali e poco sui problemi delle città, puntando alla vittoria. Con Bossi ci sarà uno sforzo comune per ribaltare il risultato del primo turno e il segnale della ritrovata condivisione sta nel fatto che i due leader saranno insieme in un comizio o una conferenza stampa la prossima settimana.  

C’è un punto, però, sul quale il premier non transige e ieri lo ha ripetuto a chiare lettere: basta con le polemiche e le divisioni. L’appello all’unità è la sua risposta ai malpancisti pidiellini e ai nuovi alleati alquanto irrequieti. Ma lo ha detto pure a Bossi.