Il Cav: “In giro non ci sono tecnici autorevoli, arriverò a fine legislatura”

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Il Cav: “In giro non ci sono tecnici autorevoli, arriverò a fine legislatura”

09 Settembre 2011

L’abbraccio dei giovani pidiellini è terapeutico. Anche quello non voluto con Giorgia Meloni, ministro e patron di Atreju nelle cui braccia plana dopo aver inciampato sul palco. Specie in tempi di crisi economica, dopo quattro manovre scritte e riscritte in due mesi, dopo giorni di pressing serrato perché faccia un passo indietro. Berlusconi arriva ad Atreju e quella ‘cura’ se la prende tutta: strette di mano, foto, autografi, con Giorgia Meloni costretta a chiamarlo sul palco per questioni di tempi e scaletta.

Davanti a una platea “cento per cento Pdl”, i ragazzi della seconda Repubblica come li chiama Anna Grazia Calabria (coordinatrice nazionale del movimento giovanile) nati a ‘pane e Berlusconi’, il premier spiega e attacca. Spiega le difficoltà di tre anni al timone del governo, le mediazioni con la Lega di Bossi, e il macigno di una crisi economica internazionale che ha costretto a calibrare l’agenda politica su quella che è ancora una emergenza.  Si sfoga quando dice che governare “è difficilissimo” come pure “trovarsi a fare i conti con le difficoltà” ereditate dal passato, “in un sistema che non dà alcun potere” al premier e al governo.

“Ho sentito in questi anni un senso di impotenza drammatico” ammette ma subito dopo attacca. Doppio affondo: all’avversario di sempre, quella parte di magistratura politicizzata che quando viene approvata una legge “se non piace a Magistratura Democratica, politicizzata e di sinistra viene mandata alla Corte Costituzionale a maggioranza di sinistra e viene puntualmente abrogata”; e a chi in queste ore dall’opposizione ma anche da qualche scranno della maggioranza (vedi Pisanu) ripete che il tempo è scaduto e deve passare il testimone a un governo tecnico, di unità nazionale, di larghe intese o di tutto ciò che ci può stare tranne lui. La risposta è sferzante: “Governi tecnici? Mi viene da ridere; non vedo in giro così tanti tecnici con il talento e l’autorevolezza politica. Noi abbiamo una maggioranza solida e coesa e possiamo sperare, anche se non c’è assoluta certezza, di fare le riforme che servono”. Architettura istituzionale, fisco e giustizia: le tre riforme che insegue da diciassette anni.

E’ un passaggio nel quale torna quel senso di amarezza per le tante mediazioni con la maggioranza, per il fronte del no a prescindere che l’opposizione – pure quella cosiddetta riformista – continua a mostrare nell’intento di farlo cadere. Berlusconi si sente assediato, anche per la nuova ondata di intercettazioni delle inchieste di Napoli e Bari che hanno già riacceso il ventilatore delle polemiche e dei veleni. Non “temo niente”, scandisce ai cronisti e davanti ai giovani del Pdl non nasconde l’amarezza e tuttavia dice di essere disposto ancora a combattere. Non se ne andrà prima della fine della legislatura,  è il monito a quanti vorrebbero rovesciare il voto popolare. C’è anche chi in queste parole legge una risposta secca alla sollecitazione di Emma Marcegaglia, leader di Confindustria che sceglie la platea di un convegno dell’Udc per dire che l’Italia “è in pericolo” e il governo o fa qualcosa di concreto oppure ne deve trarre le conseguenze. Il che equivale a dire: dimissioni.

Rispondendo alla domanda di un giovane pidiellino, il premier ripete che il governo arriverà alla fine della legislatura e lui deciderà “allora se ricandidarmi: farò ciò che in quel momento sarà necessario fare”, aggiunge spiegando che “dopo venti anni di attività politica, che sono un periodo enorme perchè la vita politica è drammaticamente pesante, mi sembra che sarei giustificato e avrei consolidato il diritto di rinunciare alla richiesta del mio partito di ricandidarmi”. E’ per questo che rilancia la sua idea: “Ci sono due persone che stimo sopra gli altri: uno si chiama Angelino Alfano e l’altro si chiama Gianni Letta. Il mio pensiero non recondito ma più volte dichiarato è quello di vedere prossimamente Gianni Letta presidente della Repubblica e Angelino Alfano presidente del Consiglio dei ministri”.

C’è un altro passaggio sul quale Berlusconi si sofferma: è il lavoro serrato sulla manovra economica. Anche qui, la mediazione con Bossi sul contributo di solidarietà, su pensioni e Iva; il confronto al Senato sui 1300 emendamenti che praticamente volevano riscriverla, l’accoglimento di alcune proposte delle opposizioni come quella sulla spending review (targata Pd) fino ad arrivare al voto di fiducia “che è un atto di coraggio del governo”.

Risultato: abbiamo dato risposte certe all’Europa e alla Bce in un contesto internazionale difficilissimo, abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare in queste condizioni e “non c’è alcun tecnico al mondo che sia in grado di fare quello che abbiamo fatto noi”. Il contesto però, quello europeo, resta incerto, perché le dimissioni del rappresentante tedesco nel board della Banca centrale europea contrario all’acquisto dei titoli italiani e spagnoli, ieri hanno determinato un nuovo crollo delle Borse e ripercussioni politiche pesanti nell’ambito dei paesi dell’Eurozona. Una nuova grana per Berlusconi.